Si tratta senz'altro di uno dei momenti più alti e accorati del quarto e ultimo atto di La Favorite: il protagonista, Fernand, è solo e, ormai certo della vocazione, ricorda nostalgicamente la sua Leonore: "Spirto gentil ne' sogni miei / brillasti un dì ma ti perdei: / fuggi dal cor, mentita speme, / larve d'amor, fuggite insieme". Acme di un sentimento d'elezione commisto a senso di morte e inquietudine religiosa, la tradita speranza di Fernand è la stessa che provano i protagonisti dell'ultimo lavoro di Alberto Bellocchio, Mentita speme, il cui titolo è tratto dai versi del celebre dramma di Alphonse Royer e Gustave Vaëz. Non inganni l'uso del verso: stando all'indicazione esplicita dell'autore, siamo di fronte a due racconti, in cui slancio lirico e narratività tipica del récit si alternano lungo l'arco degli eventi descritti. Le storie o, per meglio dire, le vite sono quelle, vicine e distanti a un tempo, di Vittorio e Prospero, rispettivamente intitolate Robison. L'educazione sentimentale e Vita del giovane Prospero Maria persona fisica. A quest'ultima segue un'appendice, il Poema giuridico, che nella sua frammentarietà dà alla seconda storia conclusione e apertura ulteriore, tematicamente negate dalla crisi fisica e mistica del personaggio principale. In questo libro, l'apparente discontinuità delle tre parti è in realtà funzionale a un disegno d'insieme, il cui fulcro è la vita di Prospero. Descritto nei suoi mutevoli aspetti di grazia e condanna, se non addirittura di malattia, l'anelito di questo personaggio è però ben diverso da quello di Fernand: non c'è pace che esaurisca la sua tormentata parabola esistenziale, ma costante fraintendimento: nell'amata egli suscita spavento, scoramento nei genitori; né la sua vocazione riesce a trovare la necessaria comprensione nel parroco che lo ha visto crescere. A rivelarsi è allora un delirio, in cui studio e visione si confondono, facendosi infine trama di quell'opus interruptum che è il Poema giuridico. Dell'esperienza di Prospero, sterile nonostante la promessa del suo nome, il riferimento a Shakespeare può farsi solo anteticamente: al re omonimo, che tesse con le sue arti magiche le trame dei personaggi fatti naufragare sull'isola dell'esilio, si contrappone un valetudinario studente di giurisprudenza, preda di una febbre che lo "isola" dal consorzio umano. Il suo naufragio è quello dal tempo presente; egli è il martire disconosciuto di un disagio, tutto attuale, da parte degli altri: "considerato uno scemo, immerso nella sua puzza / affidato alle medicine"; il miracolo per lui non avviene, l'odore della santità resta escremento: egli soltanto avverte come rivelazione "nell'acre sentore d'orina (
) un penetrante profumo / come di rose". A un personaggio della chiusura qual è Prospero fa da contraltare, nella prima parte del libro, Vittorio, vero e proprio tipo del Bildungsroman e, in qualche suo carattere, appendice di Aldo (protagonista di un precedente romanzo in versi di Bellocchio). Egli sarà, sin da bambino, consacrato alla vita: farà esperienza della morte nella forma della caccia; sull'isola, come Robinson, sopravvivrà; incontrerà il diavolo; guarderà in un volto il giano ideale della politica; conoscerà l'amore sub specie amicitiae; come Ulisse, avrà la sua Calypso e la sua Circe, Vanna e Alice. Ma anche per Vittorio la speranza subirà il contraccolpo del tempo; del suo passato "eroico," il presente non si curerà, restando in agguato con un altro, possibile naufragio: quello dell'ideale: una "sirena operaia / mi chiama, mi reclama a gran voce, / la sua voce un po' roca mi ammalia", concludendo l'esperienza di questo personaggio in una fuga, in cui lotta e eros si riconoscono fatalmente in un desiderio di morte. Evidenti in Mentita speme sono i contrasti descrittivi ricercati da Bellocchio tra Vittorio e Prospero: alla praxis, l'ekstasis; al diavolo di Vittorio, la vita di Gesù che suggestiona il piccolo Prospero durante il catechismo. Ritroviamo, nelle pagine del libro, una predilezione per lo sviluppo esperienziale e anagrafico dei suoi protagonisti, ma compiuto per sineddoche. Bellocchio ha raccontato la parte per il tutto, dando agli eventi la forma di "scene," in un modo preciso: così come le si vedrebbero nelle stazioni di una via crucis. Diego Bertelli
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