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«L'anno dei miei novant'anni decisi di regalarmi una notte di folle amore con un'adolescente vergine.»
Giunto in tarda età, un giornalista eccentrico e solitario, appassionato di musica classica, scopre il piacere di contemplare il corpo nudo di una donna che dorme, «senza le urgenze del desiderio o gli intralci del pudore». Forse per la prima volta incontra l'amore, quello ce non ha mai cercato nelle donne che ha incontrato e conosciuto, e trova «l'inizio di una nuova vita in un'età in cui la maggior parte dei mortali è già morta». Struggente e gioioso al tempo stesso, Memoria delle mie puttane tristi è un atto di magia narrativa che si impossessa dei nostri sentimenti, penetrando il mistero della vita.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Una lettura piacevole che tuttavia non mi ha convinta come "cent'anni di solitudine" o altri libri di Marquez, anche più brevi. Ne consiglio comunque la lettura.
Ogni libro di Marquez mi lascia soggiogata. Riesce ad estraniarti da tutto ciò che ti circonda e a trasportarti nella magia dei suoi racconti. "Memorie delle mie puttane tristi" è un inno all'amore, all'amore autentico, vero, quell'amore che ti spoglia di tutto e ti lascia lì inerme come un bambino. Il protagonista è un giornalista di novant'anni che ha sempre rifiutato l'idea del matrimonio e della famiglia. Solitario, grande appassionato di musica classica e di donne, decide per il giorno del suo compleanno di farsi un regalo: trascorrere una notte d'amore folle con un'adolescente vergine. Però, alla vista della bellezza e purezza di quel corpo ancora acerbo sdraiato accanto al suo, ogni istinto cessa. Resta lì immobile a contemplarlo e ad ammirarlo in silenzio e la stessa cosa si ripeterà nelle notti successive. Col passar del tempo si ritrova cambiato, non è più la stessa persona di sempre. È al tempo stesso gioioso, felice, quanto geloso e intrattabile. In un'età in cui ormai si è soliti pensare solo alla morte imminente, grazie all'amore, lui sperimenta la bellezza del vivere appieno. Grazie a quella ragazza inizia una nuova vita, a un'età in cui la maggior parte dei mortali è già morta. "Avevo sempre creduto che morire d'amore non fosse altro che una licenza poetica. Quel pomeriggio, di nuovo a casa senza il gatto e senza lei, constatai che non solo era possibile morire, ma anche che io stesso, vecchio e senza nessuno, stavo morendo d'amore. Però mi resi pure conto che era valida la verità contraria: non avrei cambiato con nulla al mondo le delizie della mia sofferenza. Avevo perso oltre quindici anni cercando di tradurre i canti di Leopardi, e solo quel pomeriggio li sentii in profondità: Oimé, se quest'è amor, com'ei travaglia!"
Se dovessi usare solo due aggettivi per descriverlo, direi che Memoria delle mie puttane tristi è un romanzo breve e indolente, stesse parole che nella mia mente associo alla vecchiaia. Di fatto, questo racconto non è altro che un inno all'ultima età della vita, un tempo in cui le ore scorrono veloci come giorni e lasciano dietro di sé un peso che rallenta passi e mente. Il nostro protagonista sta per compiere novant'anni e non s'immagina affatto di essere più vicino alla sua rinascita che alla morte. In un'età in cui corpo e anima sfioriscono e appassiscono lentamente, l'anziano professore vede germogliare dentro di sé il seme di un sentimento mai sperimentato prima: l'amore. Così, tra le pieghe malinconiche della nostalgia verso un passato che non può tornare si insinuano dolcemente riverberi d'incanto e gioiosa serenità per un futuro desiderabile. E tu, lettore, non puoi fare altro che fermarti in contemplazione davanti a tanta bellezza e mistero.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
“Quella notte scoprii il piacere inverosimile di contemplare il corpo di una donna addormentata senza le urgenze del desiderio o gli intralci del pudore.”
All’alba del suo novantesimo compleanno, il protagonista di questo straordinario romanzo breve, decide di concedersi un regalo particolare: una notte d’amore con una ragazza vergine.
Ha solo quattordici anni la vittima designata, che l’anziana maîtresse del bordello frequentato dal vecchio giornalista con grande assiduità per tutta la sua solitaria vita, prepara con cura e dispone nel letto come offerta suprema al buon cliente e ormai buon amico.
Eccentrico, intellettuale squattrinato, appassionato di musica classica, giornalista solitario e non particolarmente brillante, da sempre ostile a ogni legame, tanto da chiudersi in casa il giorno delle nozze lasciando la promessa sposa ad attenderlo, carica di rabbia e di vergogna, inutilmente sull’altare: così si presenta al lettore senza nessun compiacimento il protagonista del romanzo. Ebbene quel vecchio, immorale e un po’ cinico, rimane incantato davanti al giovane corpo addormentato della ragazzina che, razionalmente pronta al sacrificio, aveva dovuto esser sedata dal bromuro e dalla valeriana per affrontare quella deflorazione mercenaria.
Quella, e altre notti che seguiranno, trascorse in silenzio, vegliando il pesante sonno della fanciulla sconosciuta da lui fittiziamente chiamata Degaldina, diventano fonte di fantasie diurne, compagne delle sue solitarie giornate, può immaginarla accanto a sé, vederla nelle diverse fasi della vita, adolescente ingenua e donna provocante, pensarla anziana e sua compagna: un fantasma che gli fa per la prima volta nella sua lunga e insignificante esistenza sentire la magia creatrice e trasformatrice dell’amore.
“Scoprii che l’ossessione che ogni cosa fosse al suo posto, ogni faccenda a suo tempo, ogni parola nel suo stile, non era il premio meritato di una mente in ordine, ma tutto il contrario, un intero sistema di simulazione inventato da me per nascondere il disordine della mia natura”
Il lavoro giornalistico, ridotto ormai a una collaborazione settimanale con un quotidiano, lo vedeva autore di un editoriale domenicale, immutato nel tempo, nei toni e nei messaggi, incapace d’accettare lui stesso, anzi ostinato a rifiutare, il cambiamento dei costumi e delle mentalità.
L’articolo “dei novant’anni” voleva fosse un tributo, un omaggio alla vecchiaia, e voleva anche che fosse l’ultimo, il messaggio finale a quel pubblico di lettori verso i quali non sentiva di certo particolare affetto. Ma ecco, proprio al momento in cui i sentimenti dovrebbero sedarsi, sembra invece che inizino ad accendersi: i giovani colleghi gli dimostrano un affetto inaspettato, il quarantenne direttore insiste per trattenerlo e in lui il nuovo imprevisto affetto produce una trasformazione non solo nella psicologia, ma anche nella scrittura. Ora sa parlare d’amore ed è tale la verità del messaggio che i lettori iniziano ad avere con lui uno scambio, lo sentono punto di riferimento, dall’amore insomma nasce un fuoco vivo. La simbologia del fuoco è esplicita in un episodio di questo romanzo che spesso gioca con simboli e citazioni (è evidente l’esplicito omaggio a uno dei più bei racconti del Nobel giapponese Yasunari Kawabata), ma in questo libro affascina non tanto l’elemento evocativo, quello magico o quello dotto, quanto la capacità di scandagliare le infinite risorse dell’animo, la sua eterna freschezza, così come non può non colpire la grande libertà intellettuale dello scrittore, che tratta un tema scomodo con il pudore, la leggerezza e la verità che solo un vero maestro possiede.
A cura di Wuz.it
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