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Contro la tentazione diffusa di ritenere lecito tutto ciò che è tecnicamente possibile, anzi di non porsi nemmeno questioni su ciò che e lecito oppure no, Manicardi ci ricorda che siamo limitati, non tutto ci è possibile e non tutto ci è lecito. Questo vale per l'eutanasia, la fecondazione artificiale, l'aborto etc. Non per il fatto di essere possibili, diventano automaticamente leciti. Rimangono oggettivamente illeciti.
Il limite di cui si parla in questo libro intelligente e documentatissimo di Luciano Manicardi è,ovviamente, "il limite invalicabile e ineludibile della condizione umana", la morte. Nel mondo contemporaneo la morte, come la malattia e l'invecchiamento, è divenuta fenomeno da esorcizzare o addirittura negare, usando stratagemmi di rimozione (chi si veste a lutto,oggi? Chi scrive la parola morte nei necrologi? E i funerali vengono trasformati in happenings di celebrata individualizzazione,i corpi igienicamente cremati,le agonie vissute asetticamente e solitariamente negli ospedali..),o demandando alla scienza -nelle sue branche della farmacologia,della biotecnologia,dellaa genetica- il compito faustiano di prolungare la vita indefinitamente,oltre la sua conclusione naturale. Un sogno di immortalità che assolutizza il presente, nella ricerca narcisistica di vivere sempre, e sempre giovani e sani, con la convinzione egoistica della propria insostituibilità. Se nel corso del XX secolo il mondo occidentale ha guadagnato circa 30 anni di speranza di vita alla nascita, l'ha fatto anche a discapito di chi muore di fame,epidemie,guerre e catastrofi naturali senza possibilità di progettarsi un futuro; se da noi si rincorre il mito della prestanza estetica, della vitalità sessuale,del successo economico fino alla vecchiaia, in un'assurda negazione del concetto di limite, altrove la morte continua a imperare come livellante ingiustizia. Manicardi,ricordando che in ogni società primitiva esistevano riti funerari, e che da sempre l'umanità ha messo in atto strategie di immortalità (religiose,politiche,generazionali)nel tentativo di vincere la morte, stigmatizza l'ottusità della società postmortale in cui viviamo,sottolineando che l'uomo è molto più che la sua dimensione biologica, e deve pertanto ritrovare la concezione del corpo come relazionalità,"disponibilità a lasciarsi alterare nell'incontro con il prossimo e con il mondo", accettazione del confine, e quindi della fine.
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