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Non c’è nota in questo lavoro ove non si concretizzino i tanti amori musicali di Rinesi, musicista la cui curiosità lo ha spesso spinto ad approfondire musiche e strumenti assai lontani, e ci avvolge inebriante il profumo di spezie esotiche e di mari lontani ad insaporire brani tutti molto interessanti quali l’iniziale “Mirra” (vertiginoso volo a planare sul Mediterraneo, brano-crocevia di mondi vicinissimi in musica e lontanissimi per altri versi), “At tam tes” (alla ricerca di un equilibrio avanzato tra radici minimaliste e musica classica affacciandosi inoltre su sonorità extra-europee a realizzare uno dei brani più interessanti del post-minimalismo da anni a questa parte), “Suite della favorita” (dall’incedere maestoso con piano e orchestra a ricordare certe atmosfere del miglior Cacciapaglia), “Monsoon” (non distante dal Ravi Shankar più leggero e contaminato), “11 passi di danza” (etno-minimal-barocco ?), “La quete” (omaggio neanche tanto nascosto al pianismo di Satie), “Ayan” (conturbante vortice di flauti arabi in un roteare sufi intriso di gioia). In quasi tutti i brani compaiono strumenti dai nomi misteriosi quali la kanjira, il riq, la doholla, il bendir, il daf, il krakeb, il surmandal, così come ospiti di lusso che impreziosiscono questo lavoro con le loro ben note qualità (impossibile non segnalare alcune figure storiche della ricerca italiana quali Roberto Laneri, Paolo Modugno, Nicola Alesini, Ares Tavolazzi, fino a Michele Fedrigotti come sempre ottimo al pianoforte). Bellissima quanto anomala “Resurrexi” dove si dispiega alta la voce di Rinesi, figlia degli insegnamenti di un maestro del canto indiano quale Pandit Pran Nath, a realizzare un brano il cui unico precedente/paragone che mi viene in mente è lo storico, e in parte dimenticato, “Te deum” di Juri Camisasca rispetto al quale troviamo forse un minore pathos spirituale ma una eleganza nei toni e nei modi dalla bellezza soffocante. Disco bello quanto purtroppo passato inosservato.
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