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recensione di Greci, R., L'Indice 1992, n. 7
Con questa coerente raccolta di saggi, Paravicini Bagliani ci introduce in un ambiente di cui è profondo conoscitore: quello della curia papale duecentesca. Espressione di una monarchia pontificia rafforzata (Innocenzo III) e internazionalmente ramificata nelle sue esperienze, essa presenta i connotati di una "corte" culturalmente vivace e di levatura europea, quando il Quattrocento è ancora un remoto futuro.
Un esempio significativo è il "circolo di Viterbo" (siamo negli anni sessanta e settanta del Duecento, quando questa città è residenza della corte papale), vera fucina di intelletti all'avanguardia in vari campi, soprattutto nella scienza ottica, in sintonia con gli interessi di Ruggero Bacone che in quegli anni inviava a Clemente IV le sue opere tra cui il "De radiis".
Il proliferare di scienziati à la page va collegato ad un diffuso mecenatismo (di pontefici e cardinali), ma - in particolare - alla crescente considerazione di specialità che, più o meno connesse alla scienza medica, garantiscono carriere più rapide e remunerative di quelle fondate su legami personali o su competenze giuridiche. E la "novità" di questi saperi affonda in una nuova concezione del corpo mutuata dalla conoscenza della cultura classica, araba o addirittura orientale. Basta ricordare i codici greci che emergeranno dall'inventario della biblioteca di Bonifacio VIII.
Ancora più significativa, perché riferita al primo Duecento, ci sembra la possibilità di collegare all'ambiente curiale il Filippo Tripolitano traduttore dall'arabo di un trattato "medico" pseudo-aristotelico destinato a grande fortuna, il "Secretum secretorum". Il recupero del patrimonio greco-arabo, alcune usanze (le dispute accademiche alla mensa pontificia), la circolazione delle persone (Michele Scoto, Leonardo Fibonacci, Davide di Dinant, certi medici della scuola salernitana), l'utilizzazione della cultura come strumento di amplificazione del potere (il cosciente progetto, poi fallito per il trasferimento ad Avignone di una Roma che fosse polo attrattivo della cristianità), palesano insospettate osmosi con la corte sveva. D'altra parte l'orientamento verso la medicina e le scienze naturali connesse (alchimia, fisiognonimia, macrobiotica, ottica) ci offre l'immagine di una corte pontificia partecipe in modo propositivo di una cultura, diffusa più tra le corti che tra le università, avvinta (come si diceva) da una diversa concezione del corpo. È questa nuova concezione che da un lato favorisce la riproducibilità artistica del potere individualmente personificato (Bonifacio VIII fornirà materia di scandalo ai contemporanei) e dall'altro - tramite il mito della 'prolongatio vitae' concretizzato nella ricerca dell'integrità fisica in vita ('regimen sanitatis') e post mortem (la bolla 'Detestande feritatis' non va contro la pratica anatomica medica, ma contro una vecchia concezione del corpo che consente ancora l'uso dello smembramento del cadavere) legittima un complesso di saperi in potenziale contrasto con la fede. Si tratta, come è evidente, di importanti germi di modernità.
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