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Medaglie italiane del Rinascimento nel Museo nazionale del Bargello-Italian Renaissance medals in the Museo nazionale of Bargello. Vol. 1
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1984
1 gennaio 1984
ill.
9788872420157

Voce della critica



recensione di Castelnuovo, E., L'Indice 1985, n. 2

Il "Bargello parigino" veniva chiamata la collezione di Gustave Dreyfus quando all'inizio del secolo - prima di traversare l'Atlantico sotto l'egida di Kress - dispiegava le sue eccezionali raccolte di medaglie e di placchette nel salon di un solido appartamento borghese presso al Parc Monceau. Da solo l'epiteto basta ad evocare la reputazione internazionale del museo fiorentino e delle sue incomparabili collezioni di medaglie.
Oggi, con la pubblicazione di questo volume, prima tappa di un ampio catalogo, esse vengono presentate e illustrate. Non è un avvenimento isolato; infatti, ancora grazie allo SPES, disponiamo di una nuova edizione, testè pubblicata con una puntuale messa a punto bibliografica, del "Corpus of the Italian Medals of the Renaissance before Cellini" (1930), questa bibbia per storici e conoscitori che G.F. Hill, straordinaria figura di studioso e di uomo di museo, aveva preparato nei suoi momenti di ozio, mentre attendeva alla pubblicazione del catalogo in molti volumi delle monete greche del British Museum.
Il volume del Pollard comprende le medaglie italiane fino al 1530, abbraccia dunque la grande stagione, e la più esplorata, della medaglia italiana, quella in cui i rapporti con la pittura e la scultura sono i più forti. Il gusto per le medaglie si sviluppa in Italia con fulminea rapidità sugli inizi degli anni Quaranta del Quattrocento. È difficile trovare termini di confronto per questo straordinario fenomeno, per questa moda, per questa passione impellente e irresistibile che spinse principi, re, vescovi, condottieri, intellettuali, papi a eternare la propria immagine attraverso piccoli oggetti di bronzo (ma talvolta anche d'oro e d'argento). Dietro a questo veemente movimento si precisano il crescente interesse per l'antichità e, in stretto contatto con le forme e le tipologie classiche, la volontà di celebrare la propria persona e le proprie gesta attraverso immagini. Queste non erano tanto destinate al vasto pubblico dei contemporanei quanto a pochi eletti nel presente e, in modo particolare, alla ampia schiera dei posteri. La medaglia fu in qualche modo intesa come uno strumento di glorificazione che, al pari della classica Fama, potesse e dovesse viaggiare attraverso lo spazio e attraverso il tempo, raggiungendo paesi lontani ed epoche future.
Della attrazione che le medaglie esercitavano testimonia nel 1446, assai precocemente quindi, una lettera di Flavio Biondo a Lionello d'Este scritta per accompagnare l'invio di qualche pagina della "Roma Instaurata" e di alcune monete antiche. In essa si parlava di un banchetto offerto da un cardinale di curia dove era stato discusso con entusiasmo il progetto dello stesso Lionello di coniare diecimila monete di bronzo, a somiglianza di quelle romane, con il suo ritratto e il suo nome. Particolarmente esplicita sulle funzioni che i committenti attribuivano a questi oggetti è poi la lettera che il canonico veronese Timoteo Maffei scrive nel 1453 a Sigismondo Pandolfo Malatesta, quello stesso che di tante splendide medaglie fu committente e che nel banchetto romano del 1446 aveva esaltato l'impresa di Lionello. Si trova qui precisato con estrema chiarezza quali fossero le finalità delle medaglie, e cioè assicurare l'immortalità del nome del ritrattato, sia grazie al loro occultamento nelle costruzioni affinché potessero venire ritrovate dai posteri, sia grazie al loro invio in paesi stranieri. I ritrovamenti nel Tempio Malatestiano e in altri luoghi di medaglie all'effigie di Sigismondo Pandolfo Malatesta, celate entro le strutture architettoniche, hanno dato realtà e concretezza al testo del canonico Maffei. Fu proprio per viaggiare nel tempo e raggiungere le generazioni future che medaglie furono poste sotto i capitelli, alle basi delle colonne, o seppellite entro cortine murarie.
Ma oltre che nel tempo le medaglie viaggiavano anche nello spazio raggiungendo luoghi e persone molto diverse. Da una parte quel ristretto numero di signori tra cui i rapporti e gli scambi erano abituali, dall'altra impensati destinatari come la famiglia di uno studente di Augusta che da Padova spediva a casa nel 1459 la copia in piombo della medaglia, che Matteo de' Pasti aveva fatto dell'umanista Guarino.
Il catalogo del Pollard illumina la cerchia limitata, ma non necessariamente esclusiva (nel senso che oltre a signori, principi e marchesi comprendeva anche umanisti, ecclesiastici, intellettuali) dei committenti e fa luce sul singolare mondo dei medaglisti e sull'intreccio dei rapporti che univano l'uno all'altro ambiente. Esso dispiega il ricchissimo repertorio iconografico delle medaglie, il tesoro delle iscrizioni, dei motti, delle imprese, permette di seguire - ad annum - l'evoluzione del ritratto, e della moda, illustra le variazioni tecniche (che gli intelligenti ingrandimenti permettono di seguire particolarmente bene), aiuta a censire i problemi ancora irrisolti.
Per quanto esplorata, la storia delle medaglie rinascimentali presenta infatti ancora qualche punto oscuro, già dai suoi inizi. Tutti si accordano per riconoscere nella medaglia del Pisanello con l'effige di Giovanni VII Paleologo, imperatore di Costantinopoli, il punto da cui questa vicenda prende le mosse, e nel concilio delle due Chiese, cui l'imperatore partecipò, l'occasione che fu all'origine dell'opera. Si discute ancora per contro se la medaglia sia stata fatta a Ferrara o a Firenze e la scelta di un centro piuttosto che dell'altro comporta un leggero slittamento della data, che in ogni modo si colloca tra il 1438 e il 1439. Più misteriosa è la committenza, tanto più che forse la medaglia ebbe in origine un pendant in una, ora perduta, di papa Eugenio IV, altro personaggio chiave del concilio. La cosa è tanto più interessante in quanto il nome del pontefice sarà più tardi legato alle vicende del ritratto rinascimentale. Filarete racconta infatti di una tela dipinta da Jean Fouquet con l'immagine del papa e di due personaggi del suo seguito, che si trovava nella sagrestia della Minerva, un fatto che mostra l'interesse del pontefice per la pittura nordica. D'altra parte, come spesso è stato ripetuto, dietro l'immagine dell'imperatore Paleologo fatta da Pisanello doveva esistere un prototipo nordico, simile ai medaglioni con Costantino ed Eraclio già appartenuti al Duca di Berry, e fatti a Parigi agli inizi del secolo. Non sappiamo come Pisanello abbia potuto prendere conoscenza di questi oggetti, ma vi è ragione di credere che degli esemplari se ne trovassero alla corte papale.
La medaglia rinascimentale italiana sarebbe dunque nata dall'iniziativa di un pontefice interessato al ritratto e alle opere del nord? Chiunque ne sia stato il primo promotore, la nuova tecnica ebbe in ogni modo un successo clamoroso e rapidissimo. L'emulazione delle corti assunse forme incalzanti. I medaglisti vennero contesi, passarono dall'uno all'altro signore e spesso i legami familiari rivelano i binari su cui si svolsero gli scambi e i movimenti. Gli Este, i Gonzaga, i Malatesta, i Visconti, gli Sforza, i Bentivoglio, i Montefeltro, gli Aragona di Napoli si contesero e si scambiarono i grandi medaglisti, la corte di Borgogna ne ritenne alcuni, le grandi famiglie fiorentine, i Medici, gli Strozzi, i Tornabuoni, gli Altoviti, i Rucellai commissionarono medaglie in cui vennero rappresentate le glorie della casata, i suoi personaggi più importanti, o ancora le giovani donne che lasciavano la casa per sposarsi. La voga per la medaglia e quella per il busto-ritratto in pietra, marmo, terracotta, gesso si intrecciano. A Roma papi, cardinali, vescovi, monsignori di curia si adoprano per far eternare la propria effigie, mentre dovunque le medaglie vengono assunte come modelli per prodotti di altre tecniche: pitture, miniature, rilievi in pietra o in terracotta.
Malgrado questo successo irresistibile che a suo tempo abbattè ogni confine, le medaglie ai nostri giorni sono state oggetto di un approccio specialistico che, se ha portato ad ottimi studi e a solidi risultati, ne ha in qualche modo ostacolato l'ingresso pieno, intero e senza riserve nel grande corpus della storia dell'arte. Le medaglie di Pisanello, di Matteo de' Pasti, di Sperandio, di Niccolò Fiorentino o del Boldù vi hanno, è vero, piena cittadinanza, ma non si è, per esempio, abbastanza avvertito che i più splendidi ritratti fatti nel Quattrocento a Napoli o a Roma furono quelli eseguiti in questo particolare medium. La ricca illustrazione di questo catalogo con i suoi sorprendenti dettagli e ingrandimenti potrà aiutare a superare le preclusioni che limitano la medaglia all' interno di un campo un po' stretto.
È l'occasione di riconsiderare d'altra parte la mobilità, la trasportabilità e quindi la larga circolazione di questi oggetti che veicolavano effigi, motti, imprese, ma anche schemi formali. C'è ancora da riflettere sui caratteri di questo genere tutto speciale in cui principi e intellettuali si trovarono quasi su un piano di parità. Un'indagine sull'immagine degli intellettuali italiani nel Quattrocento e sulla loro diffusione troverebbe nelle medaglie il suo terreno privilegiato.
Se da un lato le medaglie hanno incontrato una particolare fortuna presso un gruppo di committenti molto particolari come gli umanisti, d'altra parte esse attrassero l'attenzione di un gruppo di artisti non meno singolari su cui Ulrich Middeldorf, il grande studioso alla cui memoria questo catalogo è dedicato, ha fissato la nostra attenzione. In questo campo infatti, a causa della tecnica che non richiede eccessivo sforzo fisico n‚ lavori umilianti, a causa soprattutto dello status attribuito all'oggetto nobilitato dalle ascendenze classiche e dal legame confidenziale che ne univa per lo più l'autore al committente, furono attivi scultori dilettanti, socialmente superiori agli artisti professionisti, che praticarono l'arte della medaglia come una specie di nobile occupazione, di passatempo.
Seguire le loro vicende è cosa affascinante. Difficile è, ad esempio, trovare nella storia dell'arte italiana della seconda metà del Quattrocento un personaggio più enigmatico e sorprendente di Giovanni di Salvatore Filangieri di Candida, aristocratico napoletano che univa la professione di diplomatico, di segretario di Carlo il Temerario, di Massimiliano d'Austria, di consigliere di Carlo VIII, di ambasciatore a Roma del re di Francia, e di medaglista.

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