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Il manoscritto di Missolungi - Frederic Prokosch - copertina
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Il manoscritto di Missolungi - Frederic Prokosch - copertina
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Descrizione


Negli ultimi tre mesi della sua vita, esausto, disilluso, con gli occhi fissi sulla palude di Missolungi, Byron evoca i molteplici fantasmi del suo passato. Il diario e le memorie si alternano e si intrecciano. E il poeta annota: «Nel corso della mia vita ho tenuto innumerevoli diari. Il primo fu a Harrow, quando mi ammalai di febbre, lultimo il settembre scorso, a Cefalonia. Ma è tempo chio parli da recessi del mio essere più profondi di questi pedestri e superficiali scarabocchi. Annoterò gli eventi della giornata (di solito tediosi e insignificanti), poi un asterisco (ho sempre amato gli asterischi, e in Persia una stella simboleggia il destino), e dopo questo asterisco casto e simbolico mi addentrerò nel passato, vagherò nella notte alla ricerca di recessi più profondi». A poco a poco, da questi «recessi», dove fiorisce una selva lussureggiante di storie, emerge la vita delluomo che forse più di ogni altro scrittore dellOttocento suscitò la curiosità appassionata dei suoi contemporanei e continua a suscitarla oggi. Maestro del mimetismo e della mistificazione, come ben sanno i lettori di Voci e di Gli asiatici, Frederic Prokosch naviga con perfetta naturalezza fra gli scogli di questa «falsa autobiografia». Prima ancora che dai più celebri episodi della sua vita amorosi, politici, letterari , riconosciamo qui Byron dal suo polso, dallandamento bizzoso, sfrontato delle sue associazioni, dal suo passo spedito, che lo spinge ad attraversare senza esitazione tutti i territori fra il grottesco e il sublime.
Il manoscritto di Missolungi è stato pubblicato per la prima volta nel 1968.
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Dettagli

1989
8 maggio 1989
363 p.
9788845906909

Voce della critica


recensione di Rognoni, F., L'Indice 1990, n. 3

Dato il meritato successo del suo romanzo d'esordio "Gli asiatici" (1935, Adelphi 1987) - un successo che può ricordare in tono minore, quello che il giovane Byron si guadagnò con i suoi racconti orientali - il compianto Frederic Prokosch aveva tutte le carte in regola per riuscire in un'impresa che negli ultimi centocinquant'anni deve aver tentato un'infinità di scrittori: la stesura d'una 'autobiografia' di Byron. L'impresa è tanto più allettante perché Byron stesso compose delle 'memorie' così disinibite che alla sua morte gli amici più fidati le diedero alle fiamme, con gran costernazione di Thomas Moore, primo biografo del poeta (l'episodio era certamente presente a Henry James mentre scriveva "Il carteggio Aspern*).
La miglior descrizione del "Manoscritto di Missolungi" la offre Prokosch stesso quando, in quel delizioso volume di memorie che è "Voci" (1983, Adelphi 1985), egli afferma di essersi sforzato "di non cadere nel mimetismo tenendo il libro nel registro di un'ambigua aberrazione nella tonalità di un azzurro screziato di argento antico che si sostituiva al rosso e all'oro propri del carattere di Lord Byron". Eppure, se non di quella di Byron, si tratta qui di una voce così simile da suonare poi irremediabilmente artificiale ("mi sentivo una sorta di suo postumo Doppelganger", confessa altrove Prokosch). L'irrisolta cornice (che consiste in un'introduzione dello pseudocuratore e in una breve corrispondenza fra i rinvenitori dei tre quaderni del 'manoscritto') è un tentativo di distanziamento francamente malriuscito: quando si tratta di biografie fittizie accorgimenti 'metanarrativi' più arditi come quelli del "Pappagallo di Flaubert" di Julian Barnes o del recente fantasmagorico romanzo sull'esilio di Ovidio "Il mondo estremo" di Christoph Ransmayr forse sono ormai indispensabili. Limitandosi a 'virare' i colori si rischia di soffocare le tinte vere solo per lo smalto di uno splendore diverso: insomma il romanzo è di veloce e piacevole lettura ma si sente troppo la mancanza del 'rosso 'e dell''oro'.
Pur riconoscendo anche nel "Manoscritto", a tratti l'ironia quasi sbadata che domina "Voci" l'incessante rivisitazione di luoghi e paradossi romantici - dalle riflessioni sull'onnicomprensività del mare ("Il mare è Amore. È anche il Non-tempo.È il Non-terrestre. È la morte") al pronunciamento che noi "mutiamo di continuo eppure non cambiamo mai" - ci conferma che la maestria con cui Byron tiene sotto controllo il 'luogo comune' con il 'luogo comune' è davvero una vittoria suprema, che nel Novecento forse solo Joyce ha conseguito con pari sicurezza. Le pagine migliori del romanzo sono semmai le più livide: la descrizione della cremazione del cadavere di Shelley, ad esempio, con quella gotica insistenza sul cuore che non si consuma e viene infine conteso fra l'infantile Leigh Hunt e l'altera Mary Shelley. E di innegabile forza è la conclusione del 'secondo taccuino', che si finge stilata il 24 marzo 1824, a meno di un mese da una morte prodotta soprattutto da quell'improbabile panacea che era il salasso: "Io sono come una calamita, una calamita riluttante. Attraggo verso la mia persona non soltanto donne, ma anche animali, fantasmi, zanzare e sanguisughe".

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Conosci l'autore

Frederic Prokosch

1908, Madison (Wisconsin)

Scrittore americano.Di famiglia austriaca (il padre era un professore di lingua tedesca all’Università di Yale, mentre la madre era una concertista classica), dopo aver completato gli studi universitari all’Haverford College e dopo essersi perfezionato alla Yale University (ottenne anche una seconda laurea alla Cambridge University), cominciò a viaggiare, trovando una patria d'elezione nell'Europa, che avrebbe frequentato assiduamente, fino ad andarci a vivere. Dal 1932 al 1934 fu insegnante di inglese alla Yale University.Durante la II Guerra Mondiale fu diplomatico presso la legazione americana in Portogallo e in Svezia, e dopo la guerra fu per qualche anno “visiting lecturer” all’Università di Roma. Divenne un esperto di lepidotteri, perchè...

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