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Arriva un giorno in cui l'ultimo chiodo lucido di un cuore stupendo va a perdersi in mura di nebbie senza presa. E versi su versi iniziano a ondeggiare nella sua mente scolorando in una zuffa insana che nessun arbitro o legge possono ormai fermare. Orfeo "dorme con la lira spezzata tra le mani,/e intorno al suo sonno vengono scostati/i rigidi drappeggi, le lacrime e le umide foglie,/ celato da fredde cortine di roccia il cielo senza fondo". Ma anche in quel momento, in quel coro di voci nemiche che soffiano fra i rattoppi del cranio, la poesia sgomita coi suoi arti fiaccati, non cede, non arretra, e lancia contro chiunque i propri dardi come l'ultima ancella di un credo calpestato. Prego chiunque sia finito in questa modesta piazzola di parole di sostare solo qualche secondo in più e procurarsi questo libro. Sarà come riavere nelle tasche quel resto che spesso la vita non rilascia, monete di parole ormai fuori corso, stinte e insensate ma invitte, sonanti sull'anima come fari che non eludono lo stento, ma lo innalzano a contentezza risolta. Perché è certissimo che qualcuno, da qualche parte, ascolti fra brividi commossi le invocazioni del Poeta: "Chiaro latte d'amore, lava la valle devastata;/pace del mezzogiorno, placa il dolore del viaggiatore;/le sue mani ancora brancolano e si aggrappano, e il suo capo/gettato indietro supplica la guarigione/e la musica della tua luce!". Così accade che nel luogo della cura più autenticamente clinica, in quella concreta prigionia delle tempie dove anche la più perfetta delle foglie sembra un ospite casuale fra la corteccia dei sensi, l'amore ritrova il suo canto nel viso di una donna, e ogni silenzio riavvia e ricarica le sue molle nel costato azzittito della verità, finalmente raggiunta. Forse lui lo sapeva già, lo aveva scritto anni prima, come intuendolo. E quel cuore arcano che tutto vede e sa, alla fine lo ha davvero esaudito: "Lei ai cui piedi cadrò alla fine/con tutti i miei doni avaramente risparmiati". Raccolta suprema.
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