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Nell'appassionato saggio che accompagna la ripubblicazione del Manifesto nell'edizione del 1944 Lucio Levi sottolinea la novità radicale del pensiero federalista e intravede in Spinelli un novatore che ha condotto al superamento nel senso di Thomas Kuhn dei paradigmi scientifici del politico costruendone uno nuovo. Spinelli – asserisce Levi studioso e militante del movimento federalista – è stato nel campo della politica quel che Copernico fu per l'astronomia Darwin per la biologia Freud nella conoscenza dell'essere umano. Non so se quella del federalismo prendendo avvio dal dato storico del ridimensionamento del ruolo degli stati nazionali sia comparabile con le altre rivoluzionarie discontinuità richiamate. E non sarei così sicuro sul carattere parentetico dell'adesione di Spinelli come di Ernesto Rossi al partito d'azione. Fu quella breve esperienza il precipitato di un pensiero e di un'azione contrassegnati da una grande consapevolezza riformatrice in virtù della natura del gruppo dirigente composto da riformatori che avevano realizzato su un piano europeo e nazionale il superamento delle tradizioni di provenienza. Nel partito d'azione si possono comunque individuare le radici di una capacità di porre i temi politici contemporanei in modo così innovatore da costituire un irraggiungibile modello per le religioni politiche secolari che hanno animato il dopoguerra.
Il Manifesto di Ventotene accompagna la chiusura almeno nella storia europea di un intero ciclo e l'apertura di uno nuovo. Ha ragione Tommaso Padoa Schioppa: le foglie rinsecchite che contiene non sono prova della morte dell'albero. L'opera di Spinelli rimane: fu uno spirito indomito dell'idea di Europa dopo le catastrofi del Novecento. Il depotenziamento degli stati nazionali seguì tuttavia tragitti più tortuosi segnati ineluttabilmente nel loro tracciato dall'esperienza viva e reale della storia del vecchio continente.
Paolo Soddu
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