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Magia, gelosia, vendetta. Il mito di Medea nelle lettere francesi
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2006
1 gennaio 2006
464 p., ill. , Brossura
9788832360486

Voce della critica

Figura tragica e ambivalente, Medea è associata, nell'immaginario collettivo, all'omicidio più inspiegabile, quello dei propri figli. Già il "mondo classico", greco e latino, testimonia l'interesse suscitato da Medea a partire dalla grande tragedia euripidea. In questo volume, che raccoglie gli atti del IV Seminario Balmas svoltosi a Gargnano nel 2005, Giuseppe Lozza ricorda infatti che non solo Euripide, ma anche Apollonio Rodio, Ovidio e Seneca sono serviti da modello a coloro che, in epoca medievale e moderna – e non solo nella letteratura francese – hanno scelto di rielaborare il mito di Medea. Di epoca in epoca, secondo la sensibilità dell'autore e del tempo, la costellazione di motivi coagulati attorno a questo nome si trasforma e si arricchisce, cambia di segno o recupera la tradizione; o ancora cerca le proprie origini più arcaiche: è il caso di alcune rielaborazioni tardo novecentesche, che rintracciano una Medea preeuripidea, antica dea madre feconda e potente, che mai avrebbe ucciso i propri figli. Ma, come ogni dea madre, nemmeno Medea sfugge all'ambiguità costitutiva dell'archetipo, per cui la sua immagine letteraria oscilla tra i poli opposti del femminile mortifero e terribile, e di quello sapiente e benevolo. Sorprendentemente attuale, in questo contesto, la Medea di Christine de Pizan, che Patrizia Caraffi paragona a quella, recentissima, di Christa Wolf. Quasi seicento anni separano le due figure, legate dai tratti comuni della sapienza, della lucidità e del coraggio. Ma la Medea della Cité des Dames, che rifiuta l'unione sessuale per coltivare gli studi e le lettere, rimane un'eccezione nel panorama delle rielaborazioni del mito in epoca rinascimentale. Come nel tardo medioevo (su cui si sofferma Adriana Colombini Mantovani), anche tra Quattrocento e Cinquecento l'immagine di Medea sembra essere dipinta secondo due modelli fondamentali e contrapposti, la fata e la strega. È il caso dei molteplici volti assunti da Medea nel Cinquecento, su cui si sofferma Alessandra Preda, e dell'Histoire de Jason di Raoul Lefèvre, analizzata da Maria Colombo Timelli.
Il teatro francese della Controriforma – oggetto del saggio di Christian Biet – porta sulla scena un'eroina brutale e demoniaca: il Male assume ancora una volta tratti femminili. Le Medee francesi del primo Seicento sono eroine senza scrupoli, pericolose, simbolo di concupiscenza, lussuria e crudeltà. Vive e brutali sulla scena e nell'immaginario collettivo, Medea e le sue sorelle (Pandora, Circe) rappresentano l'umanità dopo la Caduta; un'umanità in attesa di redenzione, che si fa strumento di una lezione morale e religiosa per mezzo della rappresentazione teatrale. Dario Cecchetti sottolinea, confrontandola con quella del fratello Thomas, la grandezza tragica della Médée di Pierre Corneille, ispirata a Seneca: inflessibile e assoluta, con il suo gesto Medea mette in discussione le leggi degli uomini e pone la questione della loro natura e del loro significato. Rispetto alla Medea di Corneille, quella di Longepierre – nei contributi di Nerina Clerici Balmas e Sarah Biandrati – è una una sorcière fragile, una maga potente e orgogliosa del suo lignaggio divino, incapace però di distruggere il sentimento che la tormenta e che fatalmente la costringe ad amare l'infedele Giasone.
L'ipotesi ermeneutica sviluppata da Karina Cahill della figura di Medea come archetipo del sublime si dimostra essere una chiave di lettura fondamentale in riferimento alle Medee tardo settecentesche, e in particolare a quella di François-Bernard Hoffmann, musicata da Luigi Cherubini, di cui si discute nel saggio di Francis Claudon. Abbandonata l'immagine "sublime" della donna sola, rivoluzionaria e terribile, l'immagine di Medea nella letteratura romantica francese sembra essere legata alle alterne vicende dei diritti delle donne tra Rivoluzione, codice civile napoleonico e Restaurazione: Medea, perduti i tratti di maga sapiente e inquietante, diventa protagonista di un dramma borghese domestico, incentrato sul ruolo (subalterno) della donna all'interno dell'istituzione matrimoniale.
A fine secolo Medea torna a incantare sotto le sembianze di Sarah Bernhardt, la più amata attrice francese del tempo. Sarà un discepolo di Gautier, Catulle Mendès, a riproporre sulle scene francesi una Medea sensuale e inquieta come quella dipinta da Gustave Moreau. La Medea di fine secolo, analizzata da Marilia Marchetti e Marco Modenesi, è una incantatrice. Circondata da fiori bianchi e velenosi e da serpenti, è simbolo di un erotismo languido che sa di morte: è uno dei volti in cui si incarna il tipo della femme fatale, caro alla sensibilità artistica di fine secolo.
Intorno alla metà del Novecento, Medea torna a essere protagonista dell'opera di Darius Milhaud (cui è dedicato il saggio di Eleonora Sparvoli) e di Elizabeth Porquerol, che, come suggerisce Stefano Genetti, redige un testo dai marcati risvolti femministi, anticipando le successive ipotesi di lettura del mito in area tedesca, quella già citata di Christa Wolf, e quella di Dagmar Nick. Il rigore etico e l'intransigenza ideologica della Medea di Elizabeth Porquerol ricordano la Médée di Jean Anouilh, che ben si inserisce nel contesto austero e morale del teatro degli anni quaranta, in cui il mito doveva suggerire quella visone collettiva e quei valori comuni in cui la società potesse riconoscersi. Il viaggio si conclude al di fuori dei confini francesi ed europei, ai quali, però, simbolicamente rimanda: la più recente Medea ideata per le scene in lingua francese la si deve a Werewere Liking, scrittrice d'origine camerunese, ed è improntata, si legge nel saggio di Anna Paola Mossetto, a una spiritualità di matrice animista e sincretica, in una prospettiva di genere che trova un modello fondamentale nel romanzo di Christa Wolf.
  Sonia Saporiti

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