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La mafia mi rende nervoso - Isidoro Meli - copertina

Descrizione


Finalista Premio John Fante Opera prima 2017

Vittorio Mazzola, voce narrante di questo romanzo, racconta la storia di Tommaso Traina, il figlio muto di un mafioso ucciso dai compari, i quali per compensare la famiglia della perdita, lo assumono come portapizzini. Con un fratello spacciatore e campione di PlayStation, che al contrario di Tommaso è considerato da tutti un giovane fenomeno, e una pseudo fidanzata tossicodipendente e psicotica, Tommaso si ritrova a vivere un'esistenza popolata di personaggi improbabili e scandita da messaggi enigmatici e tragitti insensati, che hanno il solo scopo di sprofondare nella confusione sbirri e rivali. Chi non va in confusione è proprio Tommaso, da tutti ritenuto analfabeta e tonto, oltre che muto, e che invece tonto non è, e nemmeno analfabeta.
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Dettagli

2016
10 maggio 2016
208 p., Rilegato
9788888320984

Valutazioni e recensioni

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paolaganga
Recensioni: 1/5

Veramente una grande delusione: una trama scarsamente convincente, il compiacimento del turpiloquio fine a se stesso oltre che scene ugualmente gratuite al limite dell'osceno. Anche i personaggi sono tratteggiati in modo approssimativo (ma evidentemente coerente con la narrazione). Mi rammarico di averlo acquistato.

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misselisabethbennet
Recensioni: 3/5

purtroppo mi aspettavo un pò di più... l'idea di partenza era buona ma è resta una trama incompleta con personaggi molto nell'ombra... ho odiato particolarmente l epilogo dove si cerca di minimizzare il 1992.. insomma, non è un libro essenziale nella libreria.

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Recensioni

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Voce della critica

La prima bozza di questa recensione/intervista l’ho scritta a mano perché, dopo l’incontro con Isidoro Meli, mi è venuta un’incredibile voglia di partecipare a quel lavoro scomodo e faticoso, quel “rapporto fisico con l’oggetto” che è, secondo lui, la scrittura. Perché Isidoro Meli i suoi libri, almeno in prima battuta, li redige a penna oppure a macchina. Era dai tempi dell’Università che non scrivevo a mano qualcosa di più lungo di un bigliettino d’auguri (le lettere d’amore esistono ancora? mi chiedo) e ho ricordato la fatica e capito cosa intendesse Meli quando parlava di sana autocensura: la penna, il foglio, la postura necessitano di energia e impegno, non li si può sprecare per scrivere sciocchezze.

Quindi, con una buon numero di idee cassate sul nascere e un’ansia da prestazione alle stelle (Isidoro Meli ti mette alla prova, sapevatelo) cerco di raccontarvi cos’è La mafia mi rende nervoso e chi è il suo autore.

Partiamo da lui, Isidoro Meli, che Frassinelli ci ha fatto incontrare in centro a Milano, in una pausa pranzo di calura e sciopero. Allora, leggendo un romanzo si cerca sempre di capire chi ci sia dietro, a volte si ha anche la presunzione di conoscerlo, lo scrittore, ma poi si scopre che non può esserci una totale aderenza tra ciò che una persona scrive e ciò che è. Vuoi che si tratti del suo romanzo d’esordio, fatto sta che il Meli che hai di fronte a bere uno spritz è lo stesso che ti trovi tra le pagine del suo romanzo. Te ne accorgi subito quando inzia a parlare: la lingua che sceglie per raccontare la storia di un portapizzini muto e analfabeta (Tommaso), è quella che usa per esprimersi nel quotidiano, diventa funzionale alla vicenda che racconta ma rimane assolutamente autentica. Non è una patina modaiola, che banalizza più che arricchire, ma l’unico modo in cui tutta la faccenda di Tommaso poteva (doveva) essere narrata, con la sovrabbondanza di spaparanzatobuttanaraggia e compagnia bella che necessitava. L’incontro mi ha confermato ciò che già pensavo: uno scrittore autentico, fintamente presuntuoso (sempre meglio che falsamente modesto) e con tante cose da dire a modo suo.

La storia merita: Tommaso, che si finge muto e scemo, fratello di uno – invece – assai sveglio e abile spacciatore, viene assunto dalla mafia come portapizzini. Il suo piano è vendicare il padre (che di mafia perì) e lo fa introducendo un elemento di disorganizzzazione in quel meccanismo che agli occhi del mondo pare funzionare benissimo. La mafia, però, come ogni cosa nata dagli uomini e come “istituzione” per di più italiana, non può funzionare bene. È pressapochista, distratta, fondamentalmente antica o meglio arretrata. Isidoro Meli riversa in questo romanzo ciò che più odia: i qualunquismi, i discorsi triti e ritriti sull’efficienza di Cosa Nostra, i luoghi comuni di cui è infarcita buona parte della letteratura – che non sopporta – sull’argomento. Da qui nasce l’idea di ridicolizzare ciò di cui giammai la gente per bene riderebbe.

E l’espediente che usa per attuare il suo piano (dimostrare che anche la mafia è fallace) è raffinato ed elegante (lingua a parte, s’intende). Anzi, teatrale. Immaginate una commedia degli equivoci di plautina memoria, personaggi con caratteristiche al limite del macchiettistico, nomi che ricordano aggettivi ed esprimono caratteristiche, con momenti di poesia del tutto inaspettati. Tommaso, giusto per farvi un esempio, finge di essere muto e stupido: questo oltre che essere un espediente narrativo, è un riferimento all’uomo tragico menomato (pensate a Tiresia) a cui gli dei hanno tolto qualcosa (la vista) per o meglio a causa del dono che possiede (la veggenza). Tommaso si nega la parola, finge di non saper leggere, ma vede, capisce e agisce molto meglio degli altri.

Come il ritornello di una canzone popolare, ironico, distaccato, ritorna il fastidio del narratore che si ripete in un “la mafia mi rende…” dalle molteplici varianti. Perché la mafia rende anche omeopatici. O antipatici. Non è il caso di Meli, a cui il talento e l’ironia non mancano.

In chiusura: sullo sfondo alla storia c’è una Palermo che mi è sembrata una persona, odiata e bistrattata dall’autore, un’ex amante che lo ha tradito e messo alla berlina. E lui la odia, senza smettere, però, mai di amarla.

Recensione di Beatrice De Carli

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La recensione di IBS


Un romanzo d’esordio spiazzante, farsesco, rutilante, sboccato. Uno stile originale, risolto e convincente. La mafia come non ve l’hanno mai raccontata.

«Un peso sullo stomaco, un ostacolo enorme, un magma inarrestabile che non smette mai di scorrere. La mafia attorno, la mafia sotto, la mafia sopra. La mafia contro, per un siciliano che combatte nonostante nascita, paternità e familiarità: perché la mafia non è una malattia genetica. E anche se uno è muto, non è detto che debba tacere. Imbarcatevi nella storia di Isidoro Meli con lo stesso spirito con cui andate sulle montagne russe. E non fidatevi delle salite, perché poi piomberete nel vuoto a capofitto.» - Maurizio de Giovanni

La possiamo chiamare “montagna di merda”, la possiamo chiamare stragismo, familiarità, rispetto, linguaggio, omertà, favoritismo, governo, corpo di Cristo. Oppure possiamo non chiamarla affatto. Tommaso Traina, in effetti, non la chiama. È muto, Tommaso, da quando ha ritrovato il cadavere di suo padre, trasfigurato in volto, nel cortile di casa sua.

Tommaso non parla, e questa è un’ottima referenza per l’azienda per cui lavora: la più importante multinazionale del mondo che, nel rispetto delle norme sindacali, ha ceduto all'orfano il diritto di portare avanti le stesse mansioni del padre. E Tommaso è veramente fiero di questo suo passaggio di ruoli perché prima di lui, suo padre, si era battuto per ottenere tutele all’interno dell’azienda, raccogliendole in uno statuto: In difesa del proletariato mafioso.
E allora questa è la storia di Tommaso e di come sia iniziato il suo primo impiego all’interno della mafia. Tommaso, considerato da tutti analfabeta e tonto, che corre da un negozio all’altro e porta pizzini, da un prete all’altro, e porta pizzini, Tommaso che osserva, in silenzio, i pizzini, e che porta avanti la sua indagine infiltrata, dall’interno dell’azienda stessa: cercare di capire chi ha ucciso suo padre.
E poi c’è Ciccio Traina, il fratello sovrappeso, adolescente e “gonfio” di canne, spacciatore in erba col vizio delle scommesse… e dei tornei di PES. Riflesso impacciato e goffo di chi all’interno dell’azienda è visto con disprezzo, senza la stoffa dell’arrivista o del leader, ma con il solo intento di sbeffeggiare gli altri, possibilmente di taglia piccola e di età inferiore, per il proprio “potere da quartiere”: soldi facili e scurrilità facili. Per il resto canne, tette, e pollice allenato sulla Playstation possono bastare a riempire l’ego di questo dipendente di basse vedute.

E mentre Tommaso lavora, indaga e cerca di fregare l’azienda, Ciccio si mette in un guaio più grande di lui: un giro di scommesse. Nel frattempo, un poliziotto fallito, sagoma calzante del suo stesso status di sbirro sudato di mezza età – “singletudine”, gastrite a vagonate innaffiata da altrettanti caffè, con l'obiettivo di arrivare alla pensione avendo risolto il caso di una vita - li osserva da lontano per poi capitare nel luogo giusto al momento giusto…
Una trama in odore di fiction, ma servita in un’esilarante salsa linguistica, dove dialetto, slang siculo e un'abbondanza di volgarità colorano – in una cornice quasi fumettistica – questi personaggi che sfiorano la realtà, a suon di siringhe, sniffate e sangue copioso.
In uno sfondo quasi hard boiled dal sapore di pane c'a meusa, sbuca Vittorio Mazzola, la voce fuori campo e onnipresente che ci ricorda continuamente quanto la mafia abbia infastidito la sua intera vita, l’abbia marcato, l’abbia reso anarchico e lassista, omofobo e ateo, cinico e barbaro:

Mi chiamo Vittorio Mazzola, e da quando sono nato la mafia ha riempito la mia testa e alterato i miei pensieri, le mie posture, il mio approccio con gli altri – siciliani e non –, naturalmente le mie pagine, e – temo – anche la mia sessualità. Tutte cose.

Sì, la mafia è tutte cose. E per questo la mafia è anche approssimazione. Fiction. Sangue e spari. Ma è anche ridicola e incapace di stare in piedi. Ora, oggi. Davanti agli eventi che accadono a Tommaso, davanti alla costruzione di questo romanzo-parodia di un potere tramontato, di paranoie e difetti, di una leggenda che vive della sua stessa ombra. Di mutazioni repentine che, come nella migliore azienda che si rispetti, possono essere improvvise e inaspettate, così che i conti, poi, non tornino affatto… crisi, cassa integrazione, fallimento.
La natura grottesca dell’opera di Meli fa sorridere nella sua decostruzione di una mitologia che puzza di anni Cinquanta.
Non un intento di denuncia, né uno schizzo della realtà. Non parlare di mafia, ma raccontare la sua stessa ridicolezza, il suo stesso sgretolarsi da dentro, da fuori, da sempre.
Scendere a un registro più basso per toccarne le carni non è scadere nella superficialità; è piuttosto un dissacrare e riportare al suo mero stato di pochezza tutto quello schifo che è stato idolatrato. Perché affrontarlo realmente, da dentro, da sotto, significherebbe scendere nella melma delle capacità umane, dove ne verrebbe fuori una tale sozzura da sporcare un'intera nazione. Un’intera responsabilità. Un intero modo di pensare, di ragionare, di lavorare, di mettersi in fila al supermercato.

Ma questo ormai non conta più, perché sotto questo fenomeno in decadenza, dai colori e dai toni vintage, se ne sono ramificati ben altri, meglio strutturati, più abili e silenziosi. Nell’attesa è diventato impossibile parlare di mafia. Perché la mafia non esiste. Ti si appicca addosso e resta lì, immobile, e nel frattempo Vittorio Mazzola si chiede come potrebbe essere la vita, anche solo per un attimo, senza questa perenne angoscia. Vivere per un attimo liberi da questo male perché «dev’essere bello anche solo per poche ore sentirsi liberi dal male, e sfogare tutte le frustrazioni accumulate nel corso dell’agonia contro i resti di quello che è stato e non sarà più.»

Recensione a cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Isidoro Meli

Isidoro Meli è nato e cresciuto a Palermo, città che gli ha lasciato una profonda comprensione dei concetti di decomposizione e decadenza. Dopo una breve ma non meno decadente parentesi lombarda, è tornato in Sicilia, dove ha vissuto un po’ ovunque – soprattutto a Catania –, approfondendo ulteriormente la conoscenza dei concetti di cui sopra. Adesso vive a Trapani. Il suo sogno è vivere a New Orleans, dove su decadenza e decomposizione ci ballano sopra. La mafia mi rende nervoso è il suo primo romanzo pubblicato per Frassinelli nel 2016, a cui è seguito nel 2018 Attìa e la guerra dei gobbi. Imprese et mirabilie di un eroe siciliano in difesa della sua terra invasa dai barbari.

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