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Anno edizione: 2004
Anno edizione: 2003
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Il romanzo parte bene, con la nascita della “madre del riso”, Lakshmi, a Ceylon, nel 1916 e la descrizione della vita in questa isola, usanze, costumi, fauna e flora. Fino a quando Lakhsmi, a soli 14 anni, è costretta a sposare un uomo ben più vecchio e a trasferirsi in Malesia, terra troppo lontana dai suoi usi a costumi. Lakshmi deve costruirsi un mondo da sola, con tutte le difficoltà di una madre costretta a guadagnarsi una dignitosa sopravvivenza e a sfornare una serie di figli, ben sei, con un uomo che non ama e non comprende, un carattere debole e imbelle. La prima parte è pertanto dignitosa e ben leggibile. Poi il romanzo prende una piega insolita: ora sono figli a raccontare la propria storia: prima Anna, la terzogenita, poi Jeyan, seguito da Sevenese, poi la voce della madre Lakshmi, seguita da Lalita, l’ultimo-genita e infine dal padre stesso, Ayha. Bene, una corale polifonica, viene da pensare. Invece no: è una corale cacofonica, dove tutti accusano tutti, raccontano di soprusi, d’ingiustizie, d’infinite beghe familiari, odi e vendette incrociate. Senza contare che poi diversi di loro raccontano la propria mala vita, fatta di consumo di droghe, alcoolismo, gioco d’azzardo, tradimenti del tetto coniugale con prostitute e altri amori. La cacofonia non finisce qui: ora entrano sul palcoscenico nipoti e pronipoti, ognuno con la propria storia di dolori e di sconfitte che si protraggono fino oltre l’anno duemila. Il romanzo si affolla di così tanti personaggi che il lettore perde il bandolo della matassa. I polpettoni sono indigesti sia allo scrittore sia al lettore! E’ una storia di perdenti, su tutti i fronti. Anche Verga scrisse romanzi che intitolò “il ciclo dei vinti”, con un tema comune, la lotta per l’esistenza, mettendo in risalto le tragiche conseguenze dell’avanzata del progresso sulle classi sociali più deboli. Ben più convincenti e reali di questo romanzo fiume, che sembra quasi un inferno dantesco, con un Dante che vola ben più alto, s’intende!
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