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Laura McLoughlin The language of the senses. A cross-gender thread from Antonin Artaud to Erminia Passannanti via Amelia Rosselli. It may seem a little unorthodox to take a male writer as the starting point for an essay on a feminist author. However, when this writer is Antonin Artaud (1896-1948) the perspective changes as Artaud’s writing, art and very own life are an act of rebellion against the norm, the order (or dis-order) of a patriarchal society and against the language used to communicate its values. From this perspective, therefore, it seems less hazardous to begin with Artaud for a brief study of Ermina Passannanti’s connections to Amelia Rosselli, who, although from a different generation, shares a similar refusal of any form of dogmatism and mysticism associated with patriarchal society, as well as a desire of overcoming the linguistic structures which that dogmatism and mysticism express and enforce. I hope therefore to highlight a common thread that links Artaud, Rosselli and Passannanti regarding the notion of ‘cruelty’, which they use in their attempt to take an anti-patriarchal, anti-institutional and anti-dogmatic stand and in the general heretical nature of their work. By ‘heretical nature’ I refer to the various forms of creative or inspiring madness, mystic delirium, auditory hallucination, phonic experimentation which emerge in their work and which serve to attempt a poetic re-appreciation of the senses through a re-evaluation of the ‘physical’ being. It must be underlined that the link between Artaud, Rosselli and Passannanti does not occur because of a conscious choice of stylistic affiliation, it arises from a shared sensitivity and from certain similar biographical and ideological circumstances. There do not appear to be conclusive facts to indicate whether Rosselli had come across Artaud’s verses and we know that Passannanti had not yet read Pour En Finir Avec le Judgement de Dieu , the last of Artaud’s work, before she wrote ‘In Grazia di Dio’ , which is perhaps the poem
Una nota a Macchina - Poesie (Erminia Passannanti, Macchina, Piero Manni Editore, 2000) Lo sguardo impietoso ed intransigente è tipico di una letteratura femminile che, secondo una generalizzazione di Paola Mastrocola,[1] con la poesia è alla disperata ricerca di uno spazio per l’autentico. Di questo sguardo si nutre anche la poesia di Erminia Passannanti, italiana nata a Salerno nel 1960 che attualmente vive ed insegna ad Oxford. Nella sua più importante raccolta, intitolata Macchina (pubblicata nel 2000 per Piero Manni Editore, ma già vincitrice nel 1995 del premio Laura Nobile dell’Università di Siena), il motivo dell’occhio e dello sguardo, oltre che metafora di un atteggiamento poetico, è ridondante anche a livello di immaginario: lo dimostra l’uso di espressioni del tipo “rimanere seduti/ nel proprio occhio/ sugli scanni del buio”, “e dal letto alla piazza/ nel mio occhio rifletto”, “cerco un oggetto estraneo/ opaco impersonale/ un occhio clinico lunare” o ancora “ignoro il nuovo/ ho un occhio storto /guardo ricordo tutto”. L’universo invocato non è che un “carrello lungo la pazzia” di cui l’io lirico non può che guardare e fissare nella memoria le visioni assurde e violente. Così in due bellissimi componimenti l’io lirico s’identifica con un’asina che gira sempre intorno alla macina e girando medita, ricorda tutto, scavando un solco, un fossato circolare (Al frantoio) portando sulla groppa un sovraccarico di colpe (Latte d’asina). Si tratta di immagini e metafore che ricordano alcuni versi di Sylvia Plath, “io cammino in un cerchio,/ un solco di vecchie colpe, profondo e doloroso” (Event) o ancora “una donna va trascinando la sua ombra in un cerchio” (A life), sicuramente famigliari alla Passannanti che a questa poetessa americana ha dedicato oltre che la tesi di laurea anche diversi saggi. Si rivela così una predisposizione alla demistificazione, ad una radicale e assoluta indagine di sé e del mondo, da parte di una voce poetica che sa che la vita bisogna inventarla per farsela piacere, ma che com
Abbiamo scritto altrove che la poesia di Erminia Passannanti, pur essendo influenzata da elementi tipici della poesia anglofona, esprime (quasi per reazione?) una peculiarità latina, fatta di eros-forza-vitale ed energia, di guizzi e vitalità maturati al sole, pregni di intenso sentimento. Ne risulta una poesia caratterizzata da elementi di iperriflessifità, cerebrale in alcuni punti (senza connotazioni negative, peraltro), ma assieme passionale, di una passione senza retorica che scaturisce da un gioco di contrasti, 'in un contesto però ben strutturato e sempre caratterizzato da un alto senso dell'equilibrio. Le sue poesie confermano questo approccio mentale diretto e intenso alla materia da "narrare", a volte perfino violento come nell'attacco de 'Di notte', tale da rendere reali anche le metafore così che l'intensità delle immagini (l'azzannare alla nuca,il fare "incursione" nei sogni, il "mordere", ecc.), crei un effetto di realismo 'magico', o meglio di sur-realismo che però viene collocato in una dimensione di dialogo affatto immediato e di impatto comunicativo. 'Di notte' - Se fossi stata / unicamente tua / quale infelice animale / avrebbe fatto incursione / nei tuoi sogni / disturbato i tuoi giorni / azzannandoti alla nuca / l'inquieta faina / il gatto selvatico / l'avida lupa? / Se sul tuo collo / e sul tuo petto esposto / - azzurro e lacrimante / come il corpo di Cristo / avessi lasciato il mio morso / se prima di sera / e prima della notte / con sospiro affannoso / - l’ origliare sommesso / alla mia porta / t'avesse informato / senza possibilità d'errore / della mia vera natura / (questa ferita aperta) / a chi - altro da te - / non uomo, né bestia, / avresti chiesto di porsi / disarmato all'ascolto? /) Un poco diversa la seconda poesia, questa, sì, surrealista toto modo, che sembra ambientare una scena di Buñuel, ('Richieste' [..]'due magre mani su un vassoio di marmo/ che gocciolano
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