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Uno dei piú noti medievisti italiani ha qui riunito e rielaborato quattro saggi che hanno tutti come tema di fondo il rapporto tra uomo e natura nel Medioevo: la costruzione del mito del lupo cattivo, la natura come matrigna, la natura come distruttrice.
Rileggere il medioevo accettando che le condizioni meteorologiche, il ratto nero o il lupo possano contare quanto Carlo Magno o Roberto d’Angiò non è nelle abitudini piú correnti. Tale insolita prospettiva, adottata negli studi raccolti in questo volume, permette di meglio intendere situazioni spesso trascurate dalla ricerca storica, eppure di straordinario rilievo. Trovano nuova luce i grandi passaggi epocali: il modificarsi degli equilibri che, fra tarda antichità e alto medioevo, videro l’uomo sulla difensiva rispetto ad un habitat fattosi piu duro e ostile; poi il diffondersi di una mutata sensibilità che dal secolo XII comincia a guardarsi dall’uso indiscriminato delle risorse naturali. Gli intrecci fra assetti economici e sociali, pratiche religiose, modelli culturali e forme di sensibilità collettiva si riflettono nel rapporto uomo/ambiente con ricadute in molti settori, dalla “invenzione” del lupo cattivo alle diverse valenze dell’antropocentrismo cristiano, fino ai dibattiti sulle ragioni prime degli eventi naturali. Sono elementi basilari per meglio chiarire i termini di un rapporto sempre fondamentale per la società.
recensione di Faloppa, A., L'Indice 1997, n. 6
Nel 1983 il Centro di studi sull'alto medioevo di Spoleto dedicò l'annuale convegno a "L'uomo di fronte al mondo animale nell'alto medioevo". Fu l'apertura di un varco nuovo nella storiografia e Gherardo Ortalli presentò una relazione sul rapporto fra uomini e lupi, mettendo in discussione l'assunto del "lupo cattivo" e dimostrando come tale assunto fosse un'"invenzione" dei secoli intorno al Mille. Quello studio, allora pionieristico, è il capitolo introduttivo di "Lupi genti culture" dove, con quattro percorsi, Ortalli ci accompagna in una quotidianità precaria in cui gli uomini vivono quasi in simbiosi con gli animali, con dinamiche non scontate: secondo Ortalli l'umanità, nel confrontarsi con l'ambiente, è in quei secoli portatrice della tradizione classica ma la supera gradualmente in una prospettiva legata alla recente cristianizzazione.
Con la fine dei quadri politico-sociali romani l'uomo occidentale aveva smarrito alcune certezze. Quali le novità medievali? La perdita di controllo dell'ambiente e del mondo animale, ma soprattutto lo iato fra una cultura cristiana antropocentrica - con l'ideale dell'uomo dominatore sul creato - e le condizioni materiali di vita. L'alto medioevo è "confuso", ormai privo della capacità di riconoscere e classificare le diverse specie animali; i miti delle sirene o del grifone sono collegabili con lo sfumarsi dei contorni fra umanità e bestialità. La percezione dell'ambiente e della fauna è cambiata: solo in parte consapevole, l'uomo medievale costruisce una tradizione parallela a quella classica, e in essa gli animali diventano, di volta in volta, presenze indispensabili o acerrimi nemici. Fra questi, il lupo. Il lupo nell'età antica era considerato un pericolo quasi esclusivamente per le greggi. Dalla "Storia naturale" di Aristotele - in cui risultava nemico di suini, tori e pecore - si passa alla cronaca di Salimbene de Adam dove il lupo è l'aggressore dell'uomo per eccellenza: l'eccezionalità della violenza sugli uomini diventa normalità, l'ambivalenza del lupo della classicità lascia il posto alla negatività assoluta inventata dal medioevo.
In questo trapasso di atteggiamento mentale qualcosa deve essere accaduto. Secondo Ortalli, a causa della precarietà delle condizioni di vita, nel medioevo sono aumentate le nicchie di interferenza tra lupo e uomo. Su una situazione di pericolo oggettivo e di legittima ostilità si innesta poi un nuovo "habitus" mentale (l'incertezza psicologica) e culturale (il cristianesimo), con la tradizione biblica che fa da supporto al lupo come simbolo del male. Il lupo diventa per la società occidentale il nemico da combattere, senza attenuanti, quello da cui ci si deve proteggere, senza eccezioni. L'interpretazione classica del mondo animale è depauperata, nel caso del lupo, di ogni valore positivo. Il lupo è cattivo. È diabolico. E infine è eretico. Il lupo è sì qualcosa di reale ma, traslato su un piano simbolico, perde i propri caratteri originari e ne acquisisce di nuovi. La forte paura induce nell'uomo medievale il ricorso al divino e alla sua protezione. Solo nel tardo medioevo si stempera, in parte, quella concezione negativa: ne è indizio anche l'episodio - isolato, a ben guardare, l'autore insiste su questo - di san Francesco e del lupo di Gubbio.
Insomma il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso è in realtà un lupo tutto medievale, ben lontano dalla lupa benevola nutrice di Romolo e Remo. Negando che le radici di certe nostre paure siano ataviche, collocandole in momenti storici identificabili, Ortalli ha scritto non solo un libro pieno di curiosità sul rapporto uomo-animali nel passato, ma anche un bel saggio sull'interferenza tra realtà e mentalità, su come l'una conforti e corrobori l'altra.
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