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La lingua salvata. Scritture tedesche dell'esilio e della migrazione
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Secondo la celebre battuta del direttore di una delle riviste dell’esilio, la letteratura era «il solo tesoro tedesco portato al sicuro fuori dal Terzo Reich». Chi ha salvato la lingua dalla corruzione operata in modo sistematico quanto tenace nei dodici anni in cui entro i confini del Reich tedesco si parlava la lingua del potere e della morte sono stati gli autori costretti all’esilio. Alfred Döblin, che cinque anni dopo la sua fuga da Berlino pubblica in Francia Die deutsche Literatur (im Ausland seit 1933), uno dei testi presi in esame in questo libro, esemplifica assai bene la cesura irreversibile che il 1933 segna sia per la letteratura tedesca in genere, sia in particolare per il genere letterario più libero, più aperto e per eccellenza critico: il saggio. Il saggio e il romanzo, forme entrambe di magmatica mobilità, sono all’avanguardia nell’innovazione linguistico-letteraria e stanno al centro di questa silloge di contributi, qualificata dalla peculiarità di riunire in un unico volume esempi della Exilliteratur storica ed esempi della cosiddetta Migrantenliteratur. L’idea di questo “dialogo” è suggerita in primo luogo dagli scrittori che oggi possono a buon diritto definirsi «tedeschi come Kafka», ovvero da scrittori in lingua tedesca di etnia non tedesca, qui rappresentati da Emine Sevgi Özdamar e da Navid Kermani; la Exilliteraturè qui rappresentata invece, con due sole eccezioni, Döblin e Manès Sperber, da autori che fuggono da Vienna, autentica icona della realtà multiculturale contemporanea: Elias Canetti, Veza Canetti, Friedrich Torberg, Hilde Spiel.Uno spazio a sé nel dialogo fra gli uni e gli altri è individuato da W.G. Sebald, che ha saputo dire parole straordinarie sul sentimento di colpa per essere sopravvissuti e sulla disgrazia dell’esilio, mentre la ricchezza di correlazioni fra coloro per i quali Heimat e lingua si identificano nella maniera più radicale è resa perspicua dal contributo di Navid Kermani: un autore di etnia iraniana capace di mettere a fuoco in poche pagine che cosa la letteratura di cui è esponente di vaglia (ancora sconosciuto in Italia) debba, fin dall’inizio della modernità, all’incontro con l’“altro da sé” - agli ebrei e ai Migrant. Fanno parte della stessa collana: Il rifugiato e l’antiquario.Fortunato Bartolomeo De Felice e il transfert italo-elvetico di Winckelmann nel secondo Settecento Il piacere di tradurre. François-Vincent Toussaint e la versione incompiuta dell’Histoire de l’art chez les anciens di Winckelmann
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2010
160 p., Brossura
9788874981120
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