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Stupisce questo libro per la sua originalità, perché capace di contenere diversi generi letterari ed espressivi. Il delizioso incipit ci fa intuire quale sia il livello del lavoro dell'Autore che comincia con una finzione, già nota in letteratura, ma ancora geniale se utilizzata con accenti nuovi rispetto ad aulici ritrovamenti di prestigiosi manoscritti. Il Nostro nutre la narrazione utilizzando gli appunti disordinati di un logoro quadernone trovato causalmente in un bus della linea 3. Questi frammenti di memoria, si trasfigurano come in un sogno. Ignorata una rigorosa sequenza cronologica dei fatti, la narrazione è fatta di costanti salti temporali e spaziali. Un andirivieni nel tempo e nei luoghi seguendo legami sottili che divengono il filo del racconto. La memoria si fa sogno emozione, poesia che si intreccia, commenta, sostiene il dipanarsi del romanzo. Una scelta letteraria di alto profilo che ricorda il ruolo poetico, ma pure funzionale del coro greco. Il protagonista del romanzo è Avendrace Cabùla, che scopriamo studente, divergente, curioso, e pluribocciato, in opposizione ad una scuola pedante e noiosa. Nel libro si ha una ricostruzione divertente ed efficace di certa scuola degli anni '50. Poi Avendrace è marinaio ed ancora è divergente, curioso, ma serio professionista, capace di profonda sensibilità e capace di indignarsi. Fascinosi i racconti di mare. Memorabile la descrizione di una tempesta.. Poi Avendrace è a sua volta docente, divergente e creativo e talvolta polemico. La scuola ha un ruolo importante in tutto il libro. Indicativa la telefonata tra due insegnanti dopo una giornata scolastica. Infine professor Cabùla è pensionato. Si coglie ora una riflessione matura e serena. Senza arrovellamenti sul passato che può essere un segno di saggezza, se la vita è stata spesa bene. Verrebbe da citare Il giorno fu pieno di lampi, ma ora verranno le stelle.
Linea 3, un quaderno trovato sul bus. L’arco di una vita raccontato in dodici mesi e 19 poesie. Gli estremi della vita incisi sul frontale dei bus della Linea 3. Sullo sfondo una città, il mare, una nave, la scuola dell’alunno pluribocciato Avendrace Cabula e del professor Avendrace Cabula. Tutto ha inizio con un quaderno e fogli sparsi trovati sul bus della Linea 3 e si svolge lungo un percorso dominato dall’osservazione del mondo e dalla riflessione costante, che sa essere azione. In uno stile asciutto, secco, a volte rude, sempre avvincente. Originale la constatazione: in fondo matematicamente e storicamente siamo tutti bastardi. Se scendiamo a ritroso nel calcolo dei nostri ascendenti, i numeri risultano così grandi che diventano di difficile lettura. In soli 2000 anni scopriamo di avere trilioni, biliardi, bilioni, miliardi, milioni... di madri e padri, che aboliscono confini, razze, bandiere nella più certa e naturale discendenza umana.
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