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Si può ritornare alla "vita normale" dopo aver subito un trauma indicibile? Da questo interrogativo sembrano nascere le vicende raccontate nel suo ultimo romanzo da Christian Gailly, scrittore francese conosciuto dal pubblico soprattutto dopo il suo Una notte al club (Feltrinelli, 2004), vincitore del Prix Inter. Lily e Braine racconta la storia di Braine, soldato tornato in Francia dopo aver subito una commozione cerebrale durante la guerra del Vietnam, e di sua moglie, la bella e insicura Lily. È attraverso gli occhi di quest'ultima che assistiamo al lento tornare alla vita di un uomo provato: a poco a poco ci troviamo di fronte alla ripresa della voce, dei legami con la moglie e il figlioletto Louise, fino al ritorno al lavoro poco soddisfacente nella fabbrica di automobili di proprietà del suocero. A questo punto entra in scena il personaggio forse meglio evocato in tutto il libro: il jazz, musica che porta il protagonista alla completa ma quasi inconsapevole autodistruzione, come già era accaduto ai protagonisti dei romanzi precedenti. Gailly (che non a caso ha alle spalle un lungo passato di jazzista) riesce a evocare la ritrovata passione di Braine per il flicorno, il suo amore per le improvvisazioni e il senso di smarrimento che lo fa cadere nelle braccia dell'americana Rose Braxton, tenutaria del clubnel quale si esibisce. Lily e Braine vanno verso una deriva lenta e inesorabile, per molti versi simile a quella delle coppie borghesi alla Richard Yates. Ciò che caratterizza il romanzo è però la particolarità del dettato: dialoghi essenziali e spesso senza virgolettato, scrittura ritmica e battuta, forza visiva. Si tratta di uno stile fortemente caratterizzato, che desta in un primo momento sconcerto e una certa difficoltà a "entrare" nella storia. Ben fatta la traduzione italiana, che non appiattisce e ben riesce a trasmettere tutte le asperità proprie dell'originale.
Eloisa Morra
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