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Al compimento del dodicesimo anno Karl, il padre del narratore, riceve l'ordine di andare dalla città (dove la famiglia si è trasferita) al paese natale del padre, a una giornata di cammino. È il rito di iniziazione per entrare nell'età adulta. Giunto al paese, in una festosa ritualità corale, riceve un libro bianco, che «si chiama così perché contiene solo pagine bianche. Ci scriverai ogni giorno fino a quello della tua morte. Tanto, poco, alla tua maniera. Come facciamo noi tutti. Poco, tanto, ciascuno alla sua maniera. Anche chi non ha mai imparato a scrivere, ci fa le sue tre brave croci tutte le sere (38)». Il libro bianco (e una bara già predisposta, altra tradizione del paese) sono l'eredità delle origini, l'incipit narrativo di una vita – raccontata dal figlio, "libro bianco" in carne e ossa – fatta di amore viscerale per i libri («quando, negli anni Venti, visse un anno a Parigi, si ritrovò in un autentico paradiso. Un negozio su due vendeva libri antichi, quanto meno sulla rive gauche che divenne quindi il suo territorio di caccia» 55), per le lingue romanze, la letteratura francese, la musica e i giovani artisti. Cos'è il libro bianco, se non il tentativo di superare la morte, lasciando una traccia memoriale in chi vive? «avrei riscritto io il libro di mio padre, il suo libro bianco, sarei stato io a riscriverlo, per poterlo leggere per primo. Poi lo avrei passato a lei, e dopo a tutti gli altri, com'è uso e costume (222)». Il cerchio si chiude, la memoria è salva.
In un tempo così sterile e bieco, lacerato da tutori scadenti che si spacciano per santoni del nulla, in un mondo che lancia alla rete una ciambella d'aiuto contro la solitudine di plastica che divora le coscienze, ecco una storia che risospinge l'umano sulle sue coste più vere, sui polsi più commoventi di un legame, frutto e assenza di una vita narrata. I padri sono ancora bastioni enormi su cui ogni indugio può andare a placarsi, corpi indispensabili, rifugi e fiducie contro il digiuno di senso, di amore e di ascolto che ormai sono consapevole registro giornaliero. Mi è stato prestato questo libro con istinto certo, con mani sicure, "leggilo, è una prova più che sincera, lo apprezzerai tantissimo.." (questo è stato l'invito). L'ho aperto disponendomi al meglio. Pian piano il percorso ha tessuto lembi di certezza sempre più solidi, un canto e una ragione di vita senza fronzoli stancanti, l'affondo che la parola sa offrire ai pensieri che la lavorano, sortendo libera nel suo farsi esperienza. Una Svizzera immersa in tradizioni sentite, osservanze e rigori da adempiere senza obiettare. Fino alla più estrema e commossa, quella di un padre che lascia il suo diario, la sua vita scritta, nell'obbligo tuttavia che quelle pagine vengano aperte dopo la sua morte. Quelli sono gli usi, tramandati da sempre. Avverrà però un problema, il libro si è perso, non si trova più. Ecco il capolavoro del figlio: scriverlo lui, traccia su traccia, respiro su respiro, passo su passo, ricomponendo un tracciato umano che riempie il cuore e la mente col suo andamento lirico, vera fedeltà ad un mandato, all'amore. L'impegno politico, le lotte asperrime per la libertà già decise dall'attacco del libro: "Mio padre era un comunista" (frase che il tempo sovvertirà...), e una somma di tagli e di episodi dove via via saliranno agli occhi curiosità e somiglianze, una fra tutte l'adorato amore per i libri. Come non comprenderlo e stimarlo! Libero il cinque di sempre. Un castone sorprendente.
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