(Parigi 1635-88) drammaturgo francese. Di modeste origini sociali, cameriere del poeta Tristan l’Hermite, fu da questi avviato allo studio del diritto, e introdotto nei salotti «preziosi» e nell’ambiente dell’Hôtel de Guise. Dedicatosi al teatro, esordì con la commedia I rivali (Les rivales, 1653), a cui seguirono tragicommedie e tragedie ispirate alla maniera di P. Corneille: Il falso Alcibiade (Le feint Alcibiade, 1658), Agrippa (1662), Astrade (1665); quest’ultima, attaccata da N. Boileau e difesa da E. Boursault, riscosse un enorme successo di pubblico. Nelle sue tragedie romanzesche sviluppò una propria concezione dell’amore, contrapponendo all’eroismo corneilliano i toni minori del sentimentalismo e dell’emozione lacrimosa e operando un graduale passaggio dalla tragedia all’opéra, cui si dedicò prevalentemente dal 1672, scrivendo numerosi libretti per J.-B. Lully: Cadmo ed Ermione (Cadmus et Hermione, 1673), Alcesti o il trionfo di Alcide (Alceste ou le triomphe d’Alcide, 1681), Il trionfo dell’amore (Le triomphe de l’amour, 1681), fino all’ultimo Armida (Armide, 1686). Personaggio profondamente inserito nella corte reale dal 1660, membro dell’Académie Française dal 1670, Q. intese soprattutto aderire, con la sua vasta produzione, al gusto elegante e culturalmente limitato del suo pubblico, riproponendo in forme aggiornate abitudini e concezioni della prima metà del secolo (è tardo-cavalleresca la sua concezione dell’amore), in un incontro contradditorio e fragile tra formalismo barocco e motivi neoclassici timidamente accennati.