(San Giovanni in Persiceto, Bologna, 1550 - Bologna 1609) poeta italiano. Nato da una famiglia di fabbri ferrai, compì studi irregolari protetto dalla famiglia Fantuzzi di Medicina. Alternò nella giovinezza il mestiere di fabbro con quello di cantastorie a Bologna, finché, nel 1575, si votò interamente alla seconda professione e cominciò a girare di mercato in mercato, sempre povero nonostante il successo popolare. A C. si attribuiscono più di quattrocento operette, alcune delle quali rimaste inedite, altre pubblicate in modesti opuscoli di basso costo. Scritti in lingua italiana o in dialetto bolognese, gli opuscoli contenevano sapide descrizioni del mondo plebeo, burle, casi strani, facezie, proverbi, narrazioni di feste e calamità pubbliche. Fra i più noti e non guastati dalla fretta, rimangono alcune commedie (Il tesoro, Sandrone astuto, La Farinella), il dialogo del Banchetto de’ malcibati (1591), bizzarra rappresentazione della grande fame patita dal popolino nella carestia del 1590, e soprattutto Le sottilissime astuzie di Bertoldo (1606) e Le piacevoli e ridicolose simplicità di Bertoldino, figliuolo del già astuto Bertoldo (1608), libere rielaborazioni della leggenda medievale Dialogus Salomonis et Marcolphi. Bertoldo e Bertoldino (cui in tempi successivi A. Banchieri aggiunse uno scialbo Cacasenno, sulle vicende del figlio di Bertoldino) è uno dei pochissimi testi di autentica vena popolare della letteratura italiana. Il dialogo rapido, dal linguaggio diretto e plebeo, le descrizioni colorite e argute, le battute comiche e feroci a un tempo, ben si adattano a tratteggiare il corposo villano Bertoldo intento a rivendicare, di fronte ai potenti e ai ricchi, la dignità umana del ceto contadino nascosta da millenarie umiliazioni. Ma se in Bertoldo è ritrovabile questo spunto polemico, già in Bertoldino, suo sciocco orfano assistito dalla madre Marcolfa, il rapporto ritorna a un fatalistico servaggio e il personaggio è soltanto zimbello e trastullo della leggendaria corte di re Alboino.