Filosofo ebreo di origine russa naturalizzato francese, ha insegnato alla Sorbona dal 1951 al 1977. La sua opera, tra le piú originali del Novecento, si situa all'incrocio dei linguaggi dell'etica, della musica e dell'antropologia. Fra le principali traduzioni italiane dei suoi lavori, "La musica e l'ineffabile" (1983; 1998), "L'ironia" (1987), "Il Non-so-che e il Quasi-niente" (1987 e 2011), "La morte" (2009), le interviste raccolte da Béatrice Berlowitz in "Da qualche parte nell'incompiuto" (2012) e "Il puro e l'impuro" (2014).
Le sue lezioni alla Sorbona conobbero notevole successo, grazie anche al suo carisma. I suoi scritti riprendono sovente lo stile espresso nel corso di queste lezioni; uno stile ricco di divagazioni, di deviazioni poetiche e di sovvertimenti di prospettive e punti di vista.
Questa cifra esprime il rifiuto (d'altronde mai teorizzato, per evitare di cadere in una nuova teoria) della compattezza teorica e strutturale, che sono proprie di tutte le filosofie concettualistiche.
Jankélévitch si è sforzato di riprodurre attraverso i suoi testi il carattere multiforme e plurivoco della realtà, quello stesso cambiamento continuo che caratterizzava le sue musiche preferite (a proposito delle quali scrisse alcune delle sue pagine più felici).