Vittorio Gassman è stato un attore e regista italiano. Nell'infanzia trascorsa tra Genova, Palmi e poi (definitivamente) a Roma, al seguito del padre ingegnere edile tedesco, già preannuncia un temperamento artistico esuberante e mercuriale. Allievo dell'Accademia d'arte drammatica, si impone come uno dei più dotati attori della propria generazione, in grado di affrontare sia i ruoli del repertorio classico (Amleto, Otello, Adelchi, Oreste) sia quelli del teatro moderno (Un tram che si chiama desiderio), lavorando con le compagnie più prestigiose e sotto i registi più importanti (in particolare L. Squarzina e L. Visconti). Nel 1954-55 fonda una propria compagnia, conservando sempre il gusto per la provocazione (da Kean, genio e sregolatezza, 1955, di Dumas padre, a Affabulazione, 1977, di Pasolini, fino a Ulisse e la balena bianca, 1992). Se la televisione lo scopre da subito con i classici teatrali e con il celebre Il mattatore (1959), spettacolo d'intrattenimento dove dà prova di inarrivabile camaleontismo, i rapporti con il cinema sono più sofferti, soprattutto all'inizio, quando la figura alta ed elegante, il volto regolare e attraente sembrano destinarlo esclusivamente a ruoli di individui antipatici, addirittura spregevoli, contrapposti a protagonisti virtuosi, in torbidi melodrammi (uno per tutti: Riso amaro, 1949, di G. De Santis). M. Monicelli, in I soliti ignoti (1958), ne intuisce l'enorme talento comico, incoraggiandolo a costruire l'esilarante personaggio di un pugile suonato che si improvvisa malvivente, con il quale l'attore inizia una seconda fase della carriera cinematografica; al servizio dei migliori registi della «commedia all'italiana», interpreta personaggi che estremizzano aspetti e caratteri dell'italiano affamato di vita del boom (Il sorpasso, 1962 e I mostri, 1963, entrambi di D. Risi), senza timore di sfociare nel grottesco (In nome del popolo italiano, 1971, D. Risi), salvo arricchire i suoi tipi di un retrogusto amarognolo (uno dei due soldati pusillanimi che finiscono per morire da eroi in La grande guerra, 1959, di M. Monicelli) o di una deriva apertamente surreale (l'assurda koinè di italiano e latino dell'omonimo protagonista di L'armata Brancaleone, 1966, di M. Monicelli). Assurto tra i campioni della risata del nostro cinema, negli anni '70 affronta anche ruoli umbratili (l'ufficiale cieco e disilluso di Profumo di donna, 1974, di D. Risi, da un romanzo di G. Arpino che gli vale il premio come migliore attore al Festival di Cannes), sostituendo alla vigoria sbruffona degli anni giovanili un'ammirevole economia delle proprie risorse, che sa farsi disincantata accettazione di un fallimento esistenziale (C'eravamo tanto amati, 1974, di E. Scola). Dopo una piccola parentesi americana (Quintet, 1979, di R. Altman), interpreta una grande figura di patriarca in La famiglia (1987) di E. Scola, riducendo poi l'attività cinematografica a piccoli ruoli di anziani solitari (Tolgo il disturbo, 1990, D. Risi) o a prestigiosi cammei in ricche produzioni internazionali (Sleepers, 1996, B. Levinson).
Fonte immagine: illustrazione digitale di Cristian Bozzi, 2022