(Mineo, Catania, 1839 - Catania 1915) scrittore italiano. Narratore, giornalista, critico letterario e teatrale, visse a lungo a Mineo, dove fu eletto due volte sindaco, ma anche a Firenze, a Milano e a Roma; ritornò poi in Sicilia, dove insegnò lessicografia e stilistica nell’università di Catania. Del 1877 è il suo primo libro di narrativa, i romantici Profili di donne; di due anni dopo Giacinta, un romanzo tipicamente verista, poi rielaborato per il teatro. Fra le altre sue opere si ricordano le fiabe (C’era una volta, 1882), il romanzo Profumo (1891), i volumi di novelle Le appassionate (1893) e Le paesane (1894), le cronache drammatiche (Il teatro italiano contemporaneo, 1872), i saggi di critica letteraria raccolti in Studi sulla letteratura contemporanea (1880-82) e in «Ismi» contemporanei (1898).C. è solitamente considerato l’ideologo del verismo. Seguace dei teorici del naturalismo francese (Zola in particolare), ma aperto anche agli influssi di uno psicologismo alla Bourget, affermò la necessità di dar vita a un romanzo nuovo, concepito come «documento umano», e ritrasse, al pari degli altri veristi italiani, il mondo contadino e la realtà regionale, approfondendo lo studio psicologico dei personaggi e quello dei sentimenti, che si sforzò di descrivere con metodo impersonale, cioè senza «relazione col pensiero individuale dell’autore». Ma le ambivalenze di un programma più vagheggiato che realizzato appaiono nel suo romanzo più noto, Il marchese di Roccaverdina (1901), dove egli cercò di far convivere gli interessi realistici con la tendenza alla ricerca psicologica sottile e un po’ morbosa e il gusto per il soprannaturale e il favoloso di impronta scapigliata. Di minore rilievo la sua produzione teatrale, comprendente, oltre l’adattamento di Giacinta, numerosi testi in dialetto raccolti nei 5 volumi del Teatro dialettale siciliano (1911-21).