(Cabra, Cordova, 1824 - Madrid 1905) scrittore spagnolo. Di famiglia nobile, si laureò in diritto nel 1846. L’anno seguente seguì il duca di Rivas come addetto all’ambasciata di Napoli. Nel 1850, proseguendo la sua attività diplomatica, fu a Lisbona e poi a Rio de Janeiro, a Dresda, a Pietroburgo. Nel 1858 fu eletto deputato alle Cortes. Partecipò alla rivoluzione del 1868 e fu nominato sottosegretario agli affari esteri. Con la repubblica (1873) abbandonò la politica; due anni dopo, con la restaurazione, riassunse i suoi incarichi: senatore a vita (1881), ministro a Lisbona e poi a Washington (1883) e a Bruxelles (1887), fu anche consigliere di stato e ambasciatore a Vienna (1893-95). V. cominciò a scrivere tardi, verso i cinquant’anni. Il primo e il migliore dei suoi romanzi, Pepita Jiménez (1874), è la storia di un seminarista che s’innamora di una vedova ventenne, promessa sposa di suo padre, e dopo lunghi tormenti finisce per sposarla. Anche Il commendator Mendoza (El comendador Mendoza, 1877), velatamente autobiografico, e Giovannina la lunga (Juanita la larga, 1896) ottennero un notevole successo e lo qualificano come uno dei più eleganti e gradevoli narratori spagnoli dell’800. La sua sorvegliatissima coscienza critica - come dimostrano le sue lettere e i suoi numerosi saggi - gli impedì di sviluppare una narrativa di più forte impegno e di maggior scavo psicologico o realistico. Di lui è stato detto: «la sua chiara intelligenza si dilettò a rifinire perfette opere minori».