(Campomaggiore, Trento, 1814 - Roma 1884) poeta italiano. Laureato in legge a Padova, si dedicò assai presto alla poesia e alla cospirazione politica. Recatosi a Milano nel 1840, l’anno seguente vi pubblicò una novella in versi, Edmenegarda, che fece scandalo e gli diede subito fama: in essa narrava una storia di adulterio, prendendo spunto da un avvenimento reale e introducendo nella materia poetica fatti della ordinaria quotidianità. Acceso fautore della monarchia sabauda, durante i moti quarantotteschi fu allontanato prima da Venezia, poi da Firenze. Stabilitosi in Piemonte, seguì il governo unitario a Firenze e a Roma, dove divenne senatore e direttore dell’Istituto superiore di magistero. La sua opera comprende numerose raccolte di liriche (Canti lirici, 1843; Canti per il popolo e ballate, 1843; Memorie e lacrime, 1844; Passeggiate solitarie, 1847; Storie e fantasie, 1847; Canti politici, 1852), alcuni poemi e poemetti (Rodolfo, 1853; Satana e le grazie, 1855; Armando, 1868), i sonetti di Psiche (1876) e i canti di Iside (1878).Assieme ad A. Aleardi, P. fu il più fortunato esponente poetico della seconda generazione romantica. Nei suoi versi trovano posto tutti i motivi di canto del primo romanticismo italiano (patria, amore, idilliaca celebrazione degli umili), adattati a un facile, melodioso manierismo e ravvivati da una pronta assimilazione di esperienze poetiche straniere, da Byron a Hugo a Heine. Al di là dell’impegno patriottico, vi emergono il senso di un irreparabile distacco tra la persona del poeta e la società, e una vena flebilmente sentimentale. La sua migliore stagione fu l’ultima; nel nuovo clima del post-risorgimento e in opposizione allo scientismo positivista, il vecchio poeta si rifugiò nella fiaba magica (Iside), nell’idillio panteistico (Psiche), combinando miti e motivi classici con le suggestioni della tradizione poetico-religiosa orientale, in un’atmosfera simbolistica ante litteram che per certi aspetti preannuncia G. Pascoli.