(Serravezza, Lucca, 1881 - Forte dei Marmi 1958) poeta e prosatore italiano. Trascorse un lungo periodo della giovinezza ad Alessandria d’Egitto, dove si legò d’amicizia con G. Ungaretti che fece stampare, nel 1910, il primo libro di P., Fole, racconti di vita marinara. Tornato in Italia, si occupò di teatro con un’intensa attività di organizzatore e impresario, riattivando la tradizione dei «maggi» toscani e allestendo un suo Giuda, che scandalizzò per il contenuto blasfemo. Fu un estimatore del teatro di D’Annunzio, da cui riprese il registro della rievocazione magico-popolare, evidente negli endecasillabi dello Spaventacchio, del 1914. Ma le opere più mature furono quelle della tetralogia autobiografica: Moscardino (1922), Il volto santo (1924), Il servitore del diavolo (1931), Magoometto (1942), dove un lungo periodo della propria esistenza, dalla vita in Egitto al ricordo della figura bizzarra del nonno, all’ambiente versiliese, è rievocato con un linguaggio preciso e misurato, ora realistico, ora più lirico ed evocativo. A forme narrative più tradizionali e lineari sembrò tornare con La figlioccia (1931) e Il forestiero (1937) o con la descrizione del mondo sconvolto dalla guerra di La maremmana (1938, premio Viareggio). Un realismo che piega più decisamente all’elegia apparve negli ultimi romanzi: Solaio (1941), Malaria di guerra (1947), Zitina (1949), Vita in Egitto (1949), dove ritornava la materia autobiografica, Peccati in piazza (1956), estrema parabola sull’esistenza. In anni in cui si era avvicinato alla fede cristiana, tentò anche di dar vita a un nuovo genere di dramma sacro italiano (La passione di Cristo, 1923).