(Verona 1812-78) poeta italiano. Mutò il suo nome di battesimo, Gaetano Maria, in quello più altisonante di «Aleardo». Amico di G. Prati, col quale collaborò al periodico padovano «Il Caffè Pedrocchi», prese parte attiva ai moti del 1848-49, prima a Roma e poi a Venezia. Incarcerato dagli austriaci nel 1852 e nel 1859, fu deputato al parlamento unitario e più tardi senatore; insegnò estetica a Firenze. Nella sua raccolta di Canti (1864), per lo più in endecasillabi sciolti, e composti in una lingua letteraria vicina al modello foscoliano, sono presenti tutti i temi cari alla prima generazione dell’Ottocento (patria, amore, istanze sociali), ma calati in un’atmosfera di languido sentimentalismo che tradisce l’assenza di una salda fede, l’incapacità di credere che quei grandi miti posseggano ancora una forza generatrice di nuove realtà. Da questa sostanziale sfiducia nel presente nasce la poesia aleardiana della storia (Le città italiane marinare e commercianti) e della preistoria (Il monte Circello, Le prime storie) come fantastico vagheggiamento di età remote che, quando non scade in rievocazioni fastidiosamente oleografiche, riesce a trasmettere un turbato sentimento della fragilità umana. In questi rari momenti d’intensità e di abbandono, e più ancora in certe cadenze musicali del linguaggio, alcuni hanno avvertito un vago presagio di poesia decadente.