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Con il pretesto di raccontare un indimenticabile anno lontano, l’esordio letterario del geologo Stefano Cardellini offre la fotografia di un borgo italiano di fine anni 60. Oggi il borgo di Palazzo di Arcevia non è più la realtà vivace descritta nel libro, con i suoi abitanti che, agli occhi dei bambini, erano personaggi unici. Palazzo si è spopolato nel corso degli anni, sebbene la fuga dei suoi abitanti verso migliori condizioni di vita fosse iniziata già da tempo. Quell’anno vissuto intensamente è rimasto impresso nella memoria del giovane Stefano, al punto che, a distanza di cinquant’anni, darà vita ad un’epopea, vale a dire alla ricostruzione di un ricordo ormai cristallizzato nella memoria, destinato a rappresentare una sorta di libera scuola di vita. Nel complesso il testo è scritto da una penna scorrevole e delicata; i personaggi del bambino e degli altri monelli non sono invadenti; il vero protagonista della rimpatriata non poteva che essere Palazzo, con un nome che ricorda un antico titolo nobiliare. Cardellini, anche per via della sua professione, è un acuto osservatore. Il suo stile è contraddistinto da un uso calibrato dell’ironia e dalla propensione alla narrazione investigativa, e non manca peraltro di commuovere profondamente con alcune pagine cariche di una struggente poesia. Il finale a sorpresa, ricco di commozione, completa l’impianto narrativo, rinnovando nel lettore il piacere di ritrovarsi coinvolto in un irripetibile viaggio. Il messaggio del libro è semplice e profondo: si può non avere niente e, allo stesso tempo, avere tutto il necessario per diventare persone migliori. Gli episodi narrati sono caratterizzati dalla semplicità, non hanno nulla di eccezionale, ma conservano il sapore della sorpresa per l’esplorazione di un mondo strano che rimarrà dentro di noi per tutta la vita, anticipando l’ingresso nella vita adulta.
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