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Tra le varie lettere vi ritroviamo, al n. 346, quella indirizzata "Al conte di Caiazzo" con incipit "Io, Signor Iulio (che riverisco" scritta "Di Genaio in Venezia, MDLIIII". La lettera raccomanda al destinatario un soldato "Luchese", tal "Ossi M. Francesco". Nel miglior spirito, per quanto invecchiato, dell'Aretino, preliminarmente all'oggetto della raccomandazione, vengono toccate quelle corde che in qualche modo possono intenerire l'interlocutore, sentimenti privati e ricordi di famiglia: "ma in ciò mi sforza il tener per fermo che sì come mi ebbe a core e il vostro gran Padre, e il suo tremendo zio, e il di voi suocero invitto (la cui memoria è d'Italia ornamento, e de la milizia sostegno), né più né meno dee avermi in grazia quel loro genero, parente, e figliuolo, che gli imita in tutte le cose che apportano al nome e a l'opre grado di onore e di laude". Il curatore dell'opera, Paolo Procaccioli, afferma trattarsi - destinatario della lettera - di Ercole de' Rossi, come è specificato nell'indice dei destinatari. Conseguentemente - argomenta il Procaccioli nell'indice dei nomi - "il vostro gran Padre" è Giulio (precisione onomastica vorrebbe "Giulio Cesare"); "il suo tremendo zio" è Pier Maria III de' Rossi conte di San Secondo; "il di voi suocero invitto" è Fabio Carafa, padre di Faustina, la moglie dello stesso Ercole. Così interpreta Paolo Procaccioli, non rispettando – a mio modesto avviso – veridicità storica e tempi. Egli parte dal presupposto che il conte di Caiazzo, che Pietro Aretino chiama inequivocabilmente "Iulio", debba essere il figlio di questi, Ercole! Un Ercole che non può, in quel preciso momento storico, il gennaio 1554, essere il "conte di Caiazzo" per un motivo molto semplice: "Iulio", Giulio Cesare de' Rossi, quando Pietro Aretino gli scrive, "Di Genaio in Venezia, MCLIIII", è vivo e vegeto, e solo lui è l'unico e vero "conte di Caiazzo", sino alla notte fra il 5 ed il 6 di aprile di quel medesimo anno 1554, quando morirà ammazzato nell'Abbazia di Chiaravalle della Colomba nel Piac
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