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In una ventina di lettere scritte tra il 1924 e il 1926 alla giovane ginevrina Antoinette de Boinstetten, Rilke, che viveva solitario e malato nel Castello di Muzot (in realtà, poco più che un villino turrito nel Vallese), chiede consigli all'amica, istitutrice-infermiera-botanica, su come arredare le stanze e coltivare il giardino. Poco più che un pretesto, sembrano le informazioni pratiche scambiate tra i due, per giustificare un reciproco interesse umano, basato su una sensibilità comune e sull'amore per la natura, i libri, la poesia. La vegetazione esiste come sfondo e richiamo, in queste missive: anemoni, rose, tulipani, primule, glicine, lillà, erbe aromatiche diffondono i loro delicati profumi tra le righe, così come i voli di allodole, merli e cince si intrecciano allo scampanio della "chiesa maldesta" nella vallata. La "Signorina" -come viene chiamata dal suo corrispondente- ha scelto "il mestiere della carità attiva", Rilke quello del poeta, dello studioso, dell'esteta. I due non si scambiano opinioni solo sui fiori "semplici e devoti", ma anche sugli scritti di Valéry, di Gide, su volumi d'arte e di geografia. Cosa spinge il genio a confrontarsi con l'anima delicata di Antoinette? "E' sicuro, d'altronde, che in fondo a ogni slancio verso gli altri urge una profonda inquietudine rispetto a noi stessi, se non addirittura una segreta disperazione di sopportarci...ci allontaniamo da noi stessi, per accostarci a un essere sconosciuto che, a suo modo, anch'egli si sfugge; e speriamo vagamente di capire l'altro... perché, forse, ci aiuterà a guadagnare una certa comprensione di noi stessi". Per gratitudine e affetto, il grande poeta regala alla ragazza frasi come questa: "Piove maldestramente, e il cielo scrive quelle poche righe nell'aria, senza piacere, come uno scolaretto che avesse le dita gelate e irrigidite. E dopo qualche giorno, quando riappare, il sole ordina brutalmente dei fiori, e li tira fuori dalla terra per i capelli quasi senza accarezzarli!".
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