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"Qualcosa rimane sempre come documento e non si solleva in canto", scrive Quasimodo a Sibilla, "adorata", come la invoca iniziando la sua lettera. Qualcosa che non è diventato lirica, ma è racconto. Un carteggio splendido, in cui una donna, ormai nell'autunno inoltrato della sua vita - ma che si sente ancora bella, bella fisicamente - e un uomo, che invece inizia la propria maturità davvero, come individuo, come poeta, si raccontano e raccontano il loro amore, la loro vita, il loro lavoro. Lo fanno con due linguaggi molto diversi, ma con una complicità che va oltre l'amore. Parlano di sentimenti, di amicizie (facendo anche grandi nomi del loro tempo), della vita quotidiana, di letteratura, di dubbi e problemi concreti, denaro, lavoro. Raccontano un amore cresciuto soprattutto attraverso la parola scritta, pochi incontri, costruito sull'attesa e la speranza, a volte sull'impazienza, sull'insoddisfazione, sulla poesia, sull'immaginazione più che sulla realtà. Entrambi si sentono artisti, poeti, eletti. Lui lucido, fermo, triste e incompleto, razionale. Lei passionale, inquieta, piena, quasi barocca a volte, e a volte piccola, più di lui. "Ti rivedo: sei ancora piccola. Hai paura che ti arrossi gli occhi per il troppo amore. Ma i tuoi occhi sono limpidi: in essi io bevo come un prigioniero." Bellissima la scelta dell'editore: una foto scura illuminata dal bianco dell'abito di sibilla, in un prato, e due piccole frasi autografe, più vibranti di vita dei caratteri stampati, ancora vibranti di vita. E' quella vita che in ogni storia, in ogni rapporto, in ogni epistola di Sibilla Aleramo travolge e affascina, quella vita che ella ama e racconta fino all'ultimo giorno che possiede, con na forza che fa dire alla sua anima ogni volta "si alla Terra", come suona una delle sue più belle poesie. E' un libro, un carteggio, una favola... alessandra d.
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