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Anno edizione: 1996
Anno edizione: 2015
Anno edizione: 1996
«Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia, o più precisamente lo sarebbe senza la distanza che la mia imperfezione pone tra essa e me». Giunta agli ultimi anni della sua vita, Simone Weil volle esporre in una lunga lettera al padre Marie-Alain Couturier i propri convincimenti, per verificarne la compatibilità «con l’appartenenza alla Chiesa». La risposta non arrivò mai, e la Weil rimase fino all’ultimo fedele alla sua «vocazione di essere cristiana al di fuori della Chiesa». Ciò non deve meravigliare: le tesi qui proposte, nella loro cristallina, categorica chiarezza, sono in realtà una sfida alla Chiesa – forse la più alta fra le molte che ha conosciuto in questo secolo. E innanzitutto una sfida alla pretesa ecclesiale di offrire la verità ultima, rispetto alla quale ogni altra è una rudimentale prefigurazione. Non così per la Weil, che trovava in Platone, nella Bhagavad Gita o nel Tao tê ching le stesse verità, compiutamente espresse, che incontrava nei Vangeli. «Ogniqualvolta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Krsna, Buddha, il Tao, ecc., il figlio di Dio ha risposto inviandogli lo Spirito Santo. E lo Spirito ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad abbandonare la sua tradizione religiosa, ma dandogli la luce – e nel migliore dei casi la pienezza della luce – all’interno di tale tradizione».
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Una perla della Weil che offre tantissimi spunti di riflessione. L'autrice argomenta molto chiaramente il suo voler essere cristiana, credere cioè nella figura del Cristo, ma nel contempo non poter aderire alla Chiesa, vista come istituzione che ha "snaturato" nei secoli il messaggio vero del Cristo.
Le meditazioni teologiche (ma non solo) di Simone Weil sono di una densità quasi intollerabile. Un libro con cui combatto - io non credente e non ateo - da anni, ogni volta infuriandomi e sbigottendo nello stesso tempo. Di certo il corpo a corpo è impari: io sono un bruscolino, mentre Simone Weil viaggia costantemente ad altezze abissali, in una zona della sofosfera quasi irraggiungibile. Ma se ci si impegna nella lotta con umiltà e sincerità, se ne esce sempre arricchiti. A parte ciò, bisogna dire che la religione come la si sperimenta e conosce su queste pagine appare come un'entità aliena, rispetto alle immonde caricature ierocratiche che da millenni ammorbano l'umanità. Libro consigliato.
"Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, o vedo celebrare la messa, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia". Così si apre la "Lettera a un religioso" che Simone Weil scrisse al padre domenicano Couturier nel 1941. Il desiderio di adesione al cattolicesimo fu nella Weil intensissimo sin dall'infanzia, nutrito di una nostalgia più sentimentale che razionale per i sacramenti, in particolare per l'eucarestia. Eppure, con il rigore adamantino che la contraddistinse, si negò sempre il battesimo, convinta di non riuscire a condividere in toto dogmi e insegnamenti ecclesiali. Nella sua lettera elenca "un certo numero di pensieri" che abitano in lei da anni, e che sono di ostacolo al suo dichiararsi cattolica, e chiede al suo corrispondente una "risposta chiara, certa, categorica" sulla compatibilità delle sue opinioni con l'appartenenza alla Chiesa. Avrà, dai padri spirituali che man mano avvicinerà negli anni, risposte monche e inadeguate, forse anche imbarazzate di fronte alla sua divorante ansia di spiritualità, e all'incapacità di mediare tra assoluto e relativo, tra estasi mistica e quotidianità, tra libertà di pensiero e obbedienza ai dettami conciliari. E' un cristianesimo viscerale e settoriale, quello della Weil: predilige il S.Paolo della lettera ai Filippesi, il canto del Servo di Isaia, il racconto della Passione: "Se il Vangelo omettesse ogni menzione alla resurrezione di Cristo, la fede mi sarebbe più facile. La Croce da sola mi basta." Un Vangelo della sofferenza, quello da lei amato, e non del trionfo. Divorata dallo spirito critico, così come aveva rifiutato il suo ebraismo, le sue origini borghesi, un lavoro puramente intellettuale, respinge ogni passiva sudditanza a indicazioni imposte dall'alto, inascoltata profeta di un secolo XX spesso profano anche nella religiosità.
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