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La lettera che Ermanno Olmi invia alla Chiesa in questo volume edito da Piemme, ha i toni scoraggiati, delusi, forse anche un po' risentiti dell'innamorato tradito, già nelle intestazioni dedicatorie: "Cara Chiesa di cristiani smarriti, dell'ufficialità, ricca per i ricchi, dei compromessi, dei dogmi, di un passato oscurantista, delle liturgie". Ma insieme assume il linguaggio intenerito e pieno di speranza di chi ancora vuole illudersi e credere, di chi ama nonostante: e allora l'istituzione torna ad essere madre e fidanzata fedele, degna di una devozione che superi ogni ingannevole dubbio: "Chiesa della rifioritura, della buona volontà, della verità, degli assetati di giustizia, della donazione...". Cosa chiede Olmi, con parole ispirate e profetiche, utopistiche e rabbiose, alla Chiesa di cui si sente parte viva e sofferente? In primo luogo un'attenzione accogliente verso gli umili e i dannati della terra, capace di ritrovare "l'eroicità della donazione di se stessi" ("se quel Cristo ti vedesse oggi, cara Chiesa, ridotta alla stregua di uno Stato come tanti altri, con confini che separano, armigeri che sbarrano gli ingressi, e persino un tribunale per emettere sentenze, come ti giustificheresti?"). Poi di recuperare l'amore per la terra e la natura troppo spesso asservita a interessi economici. E soprattutto di uscire da una sonnolenza secolare -che l'ha rinchiusa in atteggiamenti illiberali e punitivi, ritualistici e dogmatici-, lasciando l'uomo libero nelle sue scelte e nei suoi pensieri ("Dio deve lasciarmi vivere libero. Si è impegnato nel momento in cui mi ha creato"). Una presa di posizione decisa e coraggiosa, quella di Olmi, a favore dell'apertura al nuovo, della trasparenza, di un ritrovato entusiasmo, che lo spinge addirittura a arricchire il Padre Nostro di corollari puntualizzanti, e a ridisegnare un umanissimo Cristo accanto a una Maddalena innamorata. Perché: "Prima di qualsiasi Chiesa c'è l'uomo. L'uomo è la vera chiesa dove risiede Dio".
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