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Questa accurata ricostruzione della formazione di Valiani, a buon diritto stimato come una delle "figure più nobili" della nostra democrazia, si arresta al biennio 1940-41, alla fuga dalla Francia e al successivo esilio in Messico, ossia immediatamente prima della Resistenza, di cui Valiani sarà uno dei protagonisti e che costituirà, per molti versi, il "punto più alto" della sua biografia politica. Per quanto il percorso del giovane Valiani, dall'iniziale simpatia per il socialismo all'adesione al comunismo fino all'approdo alla "rivoluzione democratica", possa sembrare accidentato, presenta invece una linearità dal punto di vista morale, essendo le scelte sempre ispirate dalla radicalità etica. In questo senso, la sua biografia è assimilabile a quella di molti altri antifascisti della stessa generazione, approdati al comunismo più per un'irriducibile volontà di combattere il fascismo che per una completa adesione al Comintern. Formatosi come militante comunista soprattutto negli anni della detenzione carceraria, una volta liberato e giunto a Parigi, Valiani inizierà infatti un lento distacco dal partito, pienamente manifestatosi solo dopo il patto Ribbentrop-Molotov, su cui peseranno tanto le delusioni maturate in Spagna quanto l'incontro con il dissenso verso lo stalinismo espresso dallo stesso mondo comunista (collaborerà lungamente alla rivista "Que faire?"). Al termine di questo doloroso processo di chiarificazione, su cui avrà un'influenza determinante soprattutto l'amicizia stretta a Parigi con Franco Venturi e Aldo Garosci, Valiani approderà così a una concezione pienamente democratica del socialismo e della politica, rispondente a quella irrequietezza intellettuale che aveva accompagnato fin dalla giovinezza l'adesione agli ideali del movimento operaio e che successivamente sostanzierà gli studi storici.
Cesare Panizza
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