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Una splendida analisi della natura umana e del suo rapporto con l'universo. A tratti filosofico a tratti poetico, di sicuro un testo prezioso con una scrittura che ti rapisce. La Ortese è una scrittrice con una grande sensibilità unita ad una lucidità mentale capace di analizzare argomenti profondi con semplicità e consapevolezza. Un prezioso tesoro, imprescindibile per chi voglia capire chi sia stata Anna Maria Ortese e quale il suo contributo alla letteratura italiana del secondo Novecento. Una volta letto questo non ne potrete fare a meno di leggere tutta l'opera della scrittrice. Capolavoro.
Il 27 aprile pioveva continuamente Napoli punto il cielo era grigio sul porto quasi deserto, e su piazza Plebiscito brulicante di colombi, con la facciata del palazzo reale misteriosamente placida, inerte. Questo è un libro che parla di malinconia, passato vissuto nel incentrarsi delle azioni compiute, ogni tanto nella prosa di Anna Maria Ortese si intravede qualche briciola di luce grazie al suo linguaggio così ampiamente profondo è un momento dopo come una pietra cadente spiana con la sua penna sulla tristezza di una chiesa. Leggere questo libro è come guardare sui manifesti dei defunti, la prosa di questa donna non è di questo mondo e questi reportage di città in città lo attestano in modo gravoso a piombare sulla letteratura italiana del Novecento; è un libro densissimo di significato, ve lo consiglio a tutti.
Non ho difficoltà a immaginare Anna Maria Ortese, il volto coperto da un paio di lenti scure, in viaggio lungo le strade di ferro, d’asfalto e di terra battuta della penisola italiana e del continente europeo, quasi le ultime immagini che la ritraggono, ormai anziana, nella casa di Rapallo abbiamo soppiantato per sempre, nella mia immaginazione di lettore, le pupille di triste e sognante attesa che immortalano le poche fotografie dell’autrice da giovane. In questa raccolta, che raggruppa reportage scritti fra il 1939 e il 1964 insieme a ben sedici scritti inediti, la lente scura è ovviamente il filtro attraverso il quale la scrittrice analizza e descrive la realtà: un velo di "malinconia e protesta" che le permette di trasfigurare il mondo in quadri astratti e visionari, permeati da metafore e ossimori, dove ad essere ritratta è la marginalità delle esistenze, il confino di classe, il fallimento della Ragione, l’irraggiungibile chimera della Verità. Il cammino della Ortese non conosce tregua, il suo sguardo continua ad aprirsi sul mondo e gli itinerari non appaiono mai prestabiliti. Quando ciò avviene, un imprevisto, l’uggia di un momento, il terrore irrazionale dell’aereo, introducono un elemento di instabilità, di variazione, di casualità. Questa dimensione caotica trova espressione anche nella prosa, definita dalla stessa autrice come una "scrittura sbandata e ansiosa, spezzata, esitante", nonché nella struttura asimmetrica dei reportage all’interno del libro, organizzati secondo una tripartizione che resiste ogni contiguità cronologica, geografica e perfino tematica.
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