È inusuale per "L'Indice" recensire libri non pubblicati in Italia, ma l'argomento valeva l'eccezione per lo spessore pedagogico e per l'ampiezza di risonanza italiana. È un libro che ci piacerebbe fosse stato scritto da un nostro insegnante, che una tale ostinata ricerca avesse aggiunto un'analisi ulteriore, specifica e intima della condizione italiana del fare scuola. Il bavardage è il chiacchierare, ma non il ciricip ciriciap gaddiano, il confabulare sempre interessato, né tanto meno la conversazione e le sue arti, icona e carattere della modernità, quanto piuttosto l'emissione continua, controllata e incontrollata, di parole. Molti luoghi e ambienti ne sono afflitti, il bavarde compare nella letteratura, nella cinematografia, e inevitabilmente finisce per essere una categoria con la quale classifichiamo velocemente. E naturalmente il chiacchierare è un'afflizione scolastica. Molti insegnanti lamentano la fatica per avere silenzio e ascolto e le conseguenti distrazioni dalla lezione. Ora, un'insegnante finalmente ha la determinazione e la forza intellettuale di prendere la penna, di indagare su di sé, sul suo modo di fare lezione, e su altri insegnanti, sul mondo circostante, e di comporre un libretto per sollevare la tavola umida che copre il verminaio. L'argomento è sicuramente sottovalutato, da sempre, ma la sottovalutazione oggi equivale, come sembra si ostini a dire Florence Ehnuel, a un'incapacità di lettura del mondo contemporaneo. Il chiacchierare in classe non solo è aumentato, in quantità, in intensità e in volume, ma è cambiato, è diverso da quello delle passate generazioni e ci dice molto sulle crepe cognitive di oggi e sull'insidia e le smagliature che porta al tessuto logico-verbale della società. L'autrice cerca una disciplina della parola, ma si trova di fronte una classe, una piccola massa che, quanto piccola si vuole, è tuttavia una massa che si comporta come tale, non come il singolo individuo da cui sia possibile ottenere responsabilità e attenzioni. Inoltre, è una massa abituata a essere massa del tempo storico della sua esistenza. Già questo rende difficile una disciplina della parola, che ha regole dialogali, retoriche, che a loro volta poggiano sulla regola base dell'ascolto. Ma ancora più difficile è ottenere una tale disciplina se si pensa alle cause del fenomeno specifico del chiacchierare in classe, quelle che enumera Ehnuel e quelle che potremmo aggiungere. Tutte comunque riportano ai campi valoriali e al rimescolamento continuo che in essi la realtà storica produce. Il chiacchierare, come lo conosciamo adesso, è l'espressione ormai caotica di un proprio io diventato onnivoro e che ha bisogno di non-regole, che vanno dunque ad accompagnarsi ai non-luoghi(nel libro il chiacchierare viene definito un non-atto), liberando un'aggressione lenta e divorante nei confronti della personalità dell'istituzione scolastica. Gli adolescenti ripetono a scuola ciò che vedono e vivono altrove: tutto sembra avere pari dignità e tutto quindi può essere e viene detto: pensieri, parole, esperienze non costruiscono interiorità, ma devono essere immediatamente espulse. Ecco l'humus della chiacchiera. Ma questo genera altre conseguenze, perché l'espulsione immediata delle parole le rende banali, senza quel rigirare dentro che carica di significati, e fa diminuire interesse e interessi e dunque produce meno ascolto consapevole. Mi sembra, aggiungerei alle diagnosi di Ehnuel, che la parola stia subendo o abbia subito, da qualche tempo, una mutazione, non più per comunicare o anche modificare o dominare, ma semplicemente per occupare, uno strumento insomma della politica di presenza. Più si parla, più si è visibili, indipendentemente da ciò che si dice, un po' "parlo, dunque sono". Gli strumenti di comunicazione di massa hanno diffuso questi modi di parlare e di essere. Troviamo più davanti a noi casi di timidezza? C'è forse vergogna negli adolescenti se si mostra loro l'insignificanza di ciò che dicono? Ma anche la contraddittorietà non crea problemi, e non c'è interesse a riempire la materia della parola. Ehnuel propone linee rieducative, alcune delle quali partono da lontano, dal primo rapporto genitore-figlio, altre invece sono più semplicemente di gestione della classe. Credo però che abbia ragione nel pensare che le condizioni di disciplina e di possibilità di ascolto siano una delle sfide della scuola di massa. L'insegnante opera con e su una parola che è ormai lontana dalla nuova mutazione, con la quale combatte un corpo a corpo sfibrante e dagli esiti davvero incerti. Ehnuel lancia un allarme da raccogliere contro l'idra del bavardage, forma del vuoto e dell'assenteismo, che costituisce "un vero e proprio freno all'apprendimento" e una minaccia alla capacità democratica di giudizio sul giusto e l'ingiusto. Fausto Marcone
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