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Mancina osserva che immigrazione e problemi di bioetica pongono "sfide per la laicità" tali da chiederne "una revisione". Le grandi questioni bioetiche "scuotono le coscienze religiose e quelle laiche" richiedendo una nuova laicità, il cui punto di partenza sta nell'"uscire dal recinto chiuso del confronto laici-cattolici. È assurdo, nel XXI secolo, pensare che il problema della laicità si possa ridurre al ruolo" della chiesa. Far questo è "bloccare la riflessione e il dibattito su un passato che non passa", per cui i ritorni a Porta Pia da me proposti sono semplicemente "penosi". La laicità dello stato oggi "non è in discussione", ma ormai non basta più. I problemi non vertono su "come limitare le ingerenze vaticane nello stato italiano", ma su temi nuovi come "il ruolo delle religioni al plurale nella convivenza politica". Inadeguata sarebbe quindi la laicità come contenuto che definisce laico=ateo, perché la laicità "non può essere la bandiera di una fazione" ma va intesa "come dimensione necessaria (
) per il rispetto reciproco tra concittadini". Si profila così la laicità come relazione in quanto è "un modo di rapportarsi agli altri (
) sono laici tutti coloro che rinunciano a imporre la loro verità (
) agli altri", per cui anche un cattolico può essere laico e un ateo può non esserlo.
La crisi della laicità diventa quindi per Mancina "una crisi della democrazia. Ripensare la laicità costituisce (
) un impegno necessario per migliorare la capacità del processo democratico di produrre decisioni compatibili con il necessario pluralismo della società". In altri paesi "la democrazia è stata in grado di decidere", e la laicità può superare le difficoltà attuali definendo "i principi sulla base dei quali prendere decisioni pubbliche". Allo scopo Mancina propone l'idea di "ragion pubblica" di John Rawls, la cui presentazione è un po' faticosa, ma da cui emerge che tali decisioni sono prese in base a "principi e valori autonomi, e non sulla base di convinzioni etiche. (
) La politica non può essere lo spazio di applicazione dell'etica" perché, nell'attuale situazione di pluralismo etico, "una concezione etica è solo di alcuni" mentre la politica è di tutti: è lo spazio in cui si prendono "decisioni che siano accettabili per tutti". Poiché la pacifica "convivenza tra cittadini che hanno dottrine diverse purché ragionevoli" può essere garantita solo a patto che tutti siano "disponibili ad ascoltare gli altri e a cambiare almeno in parte la loro posizione", ciascuno deve subordinare i propri valori etici ai valori autosufficienti della politica, che "sono quelli della convivenza e del rispetto reciproco". Grazie alla ragion pubblica, Mancina è in grado di presentare "una nuova versione della laicità" capace di conciliare tutti, religiosi e atei, superando le stantie analogie con Porta Pia che "non hanno proprio niente da dire al mondo di oggi".
Una difficoltà, però, sta nel fatto che la "ragion pubblica" rawlsiana non propone una qualche nuova speciale intuizione morale, ma si limita a ridefinire "etica" e "politica": in passato era l'etica a essere di tutti (universale) e la politica di parte (i comunisti per gli operai, ecc.), mentre ora il discorso è capovolto: l'etica è di parte e la politica è di tutti. Senza discutere qui quanto adeguata sia questa ridefinizione, il discorso che mette in campo la ragion pubblica può forse funzionare quando applicato alle dottrine "ragionevoli", spostando così l'onere della tesi su questa nozione. Se, come fa un interprete, "la ragionevolezza è da intendere come una categoria morale", allora si creerebbe un cortocircuito che brucia la vantata autonomia della politica. Se, invece, la ragionevolezza è una categoria indipendente e specifica, come deve essere, allora Mancina deve chiarire quali sono le "dottrine ragionevoli", chi lo decide e in base a quali criteri. Per andare subito al sodo: è ragionevole o no il divieto assoluto di divorzio, di contraccezione, di aborto? Se sì, è inevitabile lo scontro tra paradigmi morali ed è adeguato il richiamo a Porta Pia in quanto si è in presenza di un analogo conflitto, in passato limitato alla sovranità sulla vita politica, mentre oggi esteso a quella sulla vita biologica. Se no, ha ragione Mancina a dire che i ritorni a Porta Pia sono penosi, ma deve anche chiarire perché dichiara "non ragionevole" il divieto: posizione forse dipendente dall'accettazione del conformismo (assegnare valore alle opinioni medie prevalenti), criterio che sembra essere adatto per le politiche centriste, ma non per l'etica.
Mancina può ribattere che la proposta di una nuova laicità come relazione ha comunque il pregio di essere più rispettosa, aperta e conciliante della laicità come contenuto, la quale invece sarebbe pericolosa perché fomenta lo scontro tra atei e religiosi nel momento storico in cui dopo il crollo del Muro le religioni hanno assunto un nuovo ruolo sociale. Mancina rileva anche che la chiesa ci mette del suo a scavare il solco tra le prospettive, sia con la martellante insistenza sui valori non negoziabili sia con un "certo integralismo". Tuttavia, questa tendenza dipenderebbe dalla necessità di competere con le altre religioni unita a una sorta di "protagonismo politico", per cui più opportuno è attenuare i contrasti proponendo la laicità come relazione che ha appunto il vantaggio di saper comprendere e unire tutti, atei e religiosi.
Anche questo presunto vantaggio, però, dipende in parte dal desiderio di una pacificazione sociale e in parte da un'analisi inadeguata della situazione: la chiesa sta serrando i ranghi non per protagonismo politico, ma per contrastare la crescente secolarizzazione che, estendendosi anche al mondo biomedico, sta sempre più erodendo l'idea che "la dimensione religiosa è intrinseca al fatto culturale" (Benedetto XVI, 25 aprile 2009). Venendo meno la religiosità naturale (il senso del sacro) e l'universo simbolico da essa sorretto, diventano incomprensibili i divieti assoluti che fino a pochi anni fa erano considerati "naturali" e quindi validi per tutti (atei e non: si pensi all'omosessualità!). Per questo, la riaffermazione dei valori non-negoziabili può apparire espressione di un "certo integralismo". Ma questi sono solo epifenomeni di superficie, perché la realtà profonda è che la dilagante secolarizzazione sconvolge tutto, ponendo i nuovi problemi che la laicità come contenuto deve affrontare ampliandosi ai nuovi territori un tempo regolati dal senso del sacro. Mancina non riesce a cogliere questa dimensione profonda sia per la priorità assegnata alla politica e alla conseguente abitudine a vedere il mondo sub specie politica, sia perché, pur avendo intitolato il libro La laicità al tempo della bioetica, per lei "il problema principale della laicità" riguarda il "rapporto con le religioni non cristiane". In questo senso, a ben vedere, per Mancina l'ampliamento della secolarizzazione rimane un fatto superficiale e secondario, ed è per questo che la laicità come contenuto risulta inadeguata. Al contrario, chi ritiene che quello sia il fatto centrale del nostro tempo sosterrà che di lì sgorgano i problemi della laicità al tempo della bioetica.
Maurizio Mori
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