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Il volumetto di Tortarolo parte da una definizione generale ("atteggiamento di coloro che sostengono la necessità di escludere le dottrine religiose, e le istituzioni che se ne fanno interpreti, dal funzionamento della cosa pubblica in ogni sua articolazione"), per precisare poi i contenuti concreti del laicismo ripercorrendone la genesi e la storia, con un’attenta ricognizione sui secoli XVIII e XIX. Alla fine, dopo un excursus davvero troppo rapido sul Novecento, si interroga sul futuro della "affermazione di regole di convivenza neutrali rispetto alle scelte confessionali" in uno scenario mondiale che sembra segnato dal "ricupero generalizzato di identità forti anche di natura religiosa" e in cui la separazione tra politica e religione viene respinta dagli integralismi come una vicenda particolare della storia occidentale priva di valore normativo universale. Un’appassionata difesa di questo valore, sostenuta da argomentazioni analitiche e precisi riferimenti storici, si trova nella raccolta di articoli e saggi, quasi tutti recenti, di Amartya Sen, premio Nobel 1998 per l’economia, del quale Massarenti traccia nell’introduzione un ampio profilo che sottolinea la coerenza della sua opera di economista e di filosofo morale e politico. Di Sen si potrebbe dire quanto egli ha scritto dello Adam Smith di Teoria dei sentimenti morali: è ben lontano dal considerare il perseguimento dell’interesse privato come la caratteristica più rilevante del comportamento razionale. Contro i difensori dei "valori asiatici" che nella Conferenza mondiale di Vienna sui diritti umani del 1993 dissero che le libertà fondamentali sono un lusso occidentale, Sen afferma che "le libertà collettive e individuali sono importanti di per sé", ma sono anche indispensabili per limitare (attraverso la critica pubblica, la denuncia, l’informazione, il voto) i disastri economici e sociali – come le carestie – aggravati da meccanismi economici e politici senza controllo democratico. Il punto fondamentale da tener fermo è il nesso tra libertà e eguaglianza: "ognuno dovrebbe godere della stessa libertà", non solo come libertà negativa, da impedimenti, ma anche come concreta libertà positiva di determinare la propria esistenza secondo diversi modelli di vita buona. Pluralismo politico e culturale, eguale tolleranza nei confronti dei vari stili di vita, parità di trattamento dei membri di comunità religiose diverse, rifiuto "di attribuire a una particolare religione una posizione privilegiata nelle attività dello stato": questo è il secularism, il laicismo (o la laicità) dello Stato, che gli autori della Costituzione indiana e la leadership di Jawaharlal Nehru avevano voluto, mentre ora è attaccato con violenza dal nazionalismo indù del Bharatiya Janata Party, che in breve tempo ha conquistato circa un quarto dell’elettorato, e dal "fascismo ispirato all’intolleranza di origine etnica e religiosa" di potenti organizzazioni come lo Shivsena di Bombay. Un episodio traumatico ritorna spesso nelle pagine di Sen: la distruzione da parte di gruppi di fanatici indù, il 6 dicembre 1992, nella città di Ayodhya, in Uttar Pradesh, di una moschea del XVI secolo nel luogo dove essi volevano costruire un tempio a Rama; ne seguirono disordini con più di duemila morti, in maggioranza musulmani (l’India conta 105 milioni di musulmani e 765 milioni di induisti, oltre a molti milioni di giainisti, di buddhisti, ecc.). A quanto sembra, a Bombay la polizia collaborò ai pogrom antimusulmani. Nel Bangladesh si scatenarono simmetriche, anche se meno sanguinose, violenze contro gli indù, da cui prese lo spunto Talima Nasrin per raccontare l’intolleranza musulmana (Vergogna, Mondadori, 1995). La Nasrin dovette fuggire in Europa, perseguitata da una condanna a morte. In India i Versetti satanici furono vietati ancor prima che le autorità iraniane promulgassero la fatwa contro Salman Rushdie. L’ideale laico, dice Sen, "può assumere forme diverse e c’è ancora ampio spazio per discutere quale possa essere la migliore. Uno dei problemi che affligge il laicismo in India è quello di riflettere la somma dei sentimenti collettivi d’intolleranza delle varie comunità, anziché basarsi sulla sintesi delle loro capacità di tolleranza. In linea di massima, ogni affermazione, o iniziativa, che susciti lo scontento di una qualunque delle più importanti comunità indiane viene subito vista come cosa da bandire". Uno Stato laico non è la sommatoria delle pretese dei vari comunitarismi religiosi: è una delle tesi di questo bel libro che, parlando del grande regista indiano Satyajit Ray, dice della straordinaria varietà e complicazione delle culture, della molteplicità delle appartenenze individuali, dell’errore di enfatizzare le differenze religiose, e invita a praticare la difficile "arte dell’universalismo".
Sen, Amartya, Laicismo indiano, Feltrinelli , 1998
Tortarolo, Edoardo, Il laicismo, Laterza , 1998
recensioni di Pianciola, C. L'Indice del 1999, n. 09
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