Il rapporto tra Italia e Germania è da rivedere e ricucire, rimuovendo innanzitutto quello è l'"estraniamento" (Enfremdung) provocato dall'ultima guerra. L'operazione appare necessaria e urgente quando si manifesta una tensione economico-politica foriera più di reciproche stilettate che di carezze. Petrillo tenta di avviare la ricucitura fornendoci un dossier ‒ quale "non è stato finora ricostruito nella prospettiva dei tedeschi" ‒ che abbraccia le vicende del rapporto tra i due paesi dal 1915 al 1943. Ne risulta una sintesi costruita su documenti, testi di archivio, diari e memorie (di Goebbels, di Ciano, ecc.) ma anche su testimonianze d'epoca o addirittura sulle impressioni, raccolte a viva voce, di testimoni della guerra, della tormentata alleanza, ma soprattutto del tradimento di cui l'"inaffidabile" alleato italiano si era reso responsabile con l'armistizio dell'8 settembre 1943. Dalla lettura del discorso ai tedeschi che Hitler tenne dopo l'iniziativa badogliana, o anche dei coevi rapporti del Sicherheitsdienst (il servizio segreto delle SS) si comprende quanto profondamente, al di là delle parole rassicuranti del Fűhrer, il distacco italiano aveva scosso l'opinione pubblica germanica, forse dandole la prima sensazione di una possibile sconfitta. In una efficace intervista Siegfried Bock, diplomatico di lungo corso della Ddr, ci spiega il giudizio corrente tra i tedeschi, e cioè che l'Italia avesse vergognosamente tradito l'alleato. Seguono ricordi di veterani che ci restituiscono il clima di quegli eventi. Certo, il comportamento dell'Italia mussoliniana e postmussoliniana non fu esemplare, ma la firma del patto di non aggressione con l'Urss e l'entrata in guerra anticipata della Germania, senza che l'Italia ne fosse avvertita, poterono spingere la sua improvvida classe dirigente a prendere decisioni quasi obbligate. Angiolo Bandinelli
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