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Anno edizione: 2021
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Il romanzo narra la storia di Kim Ji-Young dalla nascita alla maturità, fino a 33 anni. Dopo aver partorito una figlia a 31 anni inizia a parlare imitando le voci di parenti e amici. Il marito la porta da uno psichiatra che non riesce a spiegarsi l'accaduto, ma anzi ritrova certi aspetti di questa malattia in sua moglie. La storia ripercorre la vita delle donne in Corea del Sud che vedono limitata la propria "voce" in ogni settore della società. Addirittura sembra che la madre di Kim Ji-Young abbia avuto più libertà della figlia stessa nel manifestare le proprie idee, molti anni prima. Kim Ji-Young non riesce a ribellarsi contro una società che la vuole madre di figli maschi e non le perdona di starsene a casa a badare alla prole considerandola parassita, anche se ha dovuto rinunciare al lavoro e alla vita sociale. Una storia triste che fa riflettere ancora una volta sulla diversità di genere esasperata e senza via d'uscita. Confesso di aver visto delle similitudini con degli ateggiamenti ancora superstiti nei piccoli paesi di campagna della nostra Nazione.
Romanzo/saggio sulla condizione femminile in Corea. In realtà è descritta la condizione femminile universale e mi sono trovata in moltissimi aspetti descritti.
Forse più un saggio che un romanzo, Kim Ji-Young, nata nel 1982 racconta la vita contemporanea delle donne coreane attraverso la storia di una singola donna, che le rappresenta tutte. Non solo, ma è una storia in cui qualsiasi donna, da qualsiasi Paese del mondo provenga, può facilmente riconoscersi – o, almeno, per me lo è stato. Questa lettura mi ha fatto arrabbiare molto spesso, e mi ha lasciato un sentimento di sconforto e di tristezza. Le situazioni che si presentano e gli atteggiamenti della società nei confronti di una donna in ogni fase della propria vita, da quella dell’infanzia a quella dell’università, dal lavoro al matrimonio e alla maternità, mi sono, purtroppo, estremamente familiari, così come lo sono per ogni ragazza e donna che conosco. Non solo: un altro punto fermo del romanzo che mi ha fatto molto riflettere, per quanto già radicato nella mia coscienza, è il modo in cui noi stesse abbiamo cristallizzato in noi un senso di responsabilità che ci porta a sentirci costantemente in colpa o in dovere di fare qualcosa, anche quando non siamo tenute a farlo. E questa non può che essere una conseguenza degli insegnamenti che, anche inconsciamente, ci vengono trasmessi fin da piccole, persino da persone che ci vogliono bene, e di tutto ciò a cui siamo esposte nel corso della nostra vita.
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