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Raffinato, elegante e suadente: ti fa penetrare nella storia della quale fornisce scenari e persino odori. In questo 'magnifico' viaggio fra le rovine umane, si fondono costantemente i due opposti sentimenti di meraviglia e di orrore. Le vacue e superficiali conversazioni da proustiane matinée e soirée dei dominatori - traboccanti di odio, di spregio e condite di raccapricciante sarcasmo - creano un paradosso, un cortocircuito con l'immagine della miseria e del sangue dei dominati che scorre appena fuori da sontuose residenze nei saloni di velluti e cristalli, accoglienti e ben riscaldate, ancora più amplificata e talmente efficace da rimanere indelebile nella memoria di chi legge. La capacità di rendere anche le situazioni più macabre e terrificanti (ce ne sono a ripetizione) senza venir meno alla bellezza e alla poesia delle parole, è dote rarissima. Certo che se ti metti a sbirciare dentro la sua vita densissima, controversa, piena di luci e di ombre, c'è da perderci la testa, e ti viene proprio da chiamarlo Kurtz che la conradiana memoria evoca assieme all' 'a remarkable man' e al suo inscindibile 'the horror!'. «I tedeschi sono un popolo sentimentale, sono il popolo più sentimentale e più civile del mondo. Il popolo tedesco non mangia i cadaveri. Un popolo civile non mangia i cadaveri. Mangia gli uomini vivi.» L'ultimo capitolo - Il sangue - è come il ritorno da incubo a una realtà sporca e asfissiante; un'amara e stomachevole sobrietà riacquistata dopo una sbornia da vino cattivo, con l'incupimento di timbro e tono che virano verso il venturo 'La pelle'. Secondo me, Kaputt è un capolavoro di stile, forma, linguaggio e contenuto.
Bello, emozionante, scioccante. Il capitolo secondo 'I topi' e, in particolare, la parte relativa alla visita al Ghetto è sublime e ti fa capire molto più di tanti documentari e film il dramma del popolo ebraico. Questo brano dovrebbe essere inserito (e letto) in tutte le antologie scolastiche.
Visionario e terrificante, egocentrico, tragico nel senso greco. Fra le pagine indimenticabili quelle sulla nobiltà romana che fa da corte all'aitante Ciano nel bel mondo dell'aristocrazia italiana: cinica, avida di pettegolezzi, grigiamente vuota e responsabile del disastro. Grandi pagine anche quelle in cui la primadonna Malaparte racconta il terrore nazista sul fronte orientale. Pregevolissimo anche per la contaminatio degli stili. Grande opera.
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