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"Scrivere è già cinema" diceva Godard. La verità è che il cinema avviene aldiquà e aldilà della camera, nella realtà e nell'immaginario, nel meccanismo e nel macchinario, e scrivere di registi e parlare di cinema è un modo di tenere in equilibrio tutto questo attraverso la Storia, una storia orale che è un montaggio tra le parole del libro e l'immagine dei film discussi che diventano contro-immagine delle parole, e in questa aderenza e tensione troviamo il Reale storico di un discorso.
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Jean-Daniel Pollet è un cineasta che, pur avendo alle spalle un’attività professionale di tutto rispetto, rimane purtroppo sconosciuto a tutto quel pubblico che non faccia parte della ristrettissima cerchia degli addetti ai lavori. Bene ha perciò fatto il Torino Film Festival (ex Festival Giovani) a dedicargli una delle retrospettive dell’ultima edizione, di cui il volume rappresenta l’ideale completamento. Il regista di La Madeleine (Lille) rappresenta il tipico esempio di autore che, seppur considerato per ragioni anagrafiche il cadet della Nouvelle Vague, si è sempre sottratto all’assimilazione a ogni genere di scuola o tendenza e ha scelto la marginalità come propria dimensione artistico-produttiva. Fondamentale per la sua carriera è stato il lungo viaggio attraverso il Mediterraneo intrapreso nel 1963 con l’assistente Volker Schlöndorff, da cui scaturisce il film Méditerranée, capolavoro del cinema di montaggio alquanto lontano dalla poetica della Nuovelle Vague, che diventa nel giro di pochi anni un vero e proprio cult, ammirato da Francis Ponge e dagli scrittori del Nouveau Roman, da Jean-Luc Godard e dai "Cahiers du Cinéma", e soprattutto adottato dalle riviste d’avanguardia intorno al ’68, "Tel Quel" e "Cinéthique", che ne fanno il manifesto teorico di un cinema materialista. Questo viaggio determina anche la scoperta della Grecia, che diventa la sua seconda patria: non solo vi tornerà più volte nel corso degli anni per girarvi Bassae (1964), Une balle au cœur (1965), Tu imagines Robinson (1967), L’Ordre (1973) e Trois jours en Grèce (1990), ma vi stringerà anche rapporti d’amicizia e collaborazione con personalità come Mikis Theodorakis e Kostas Ferris. Un altro dato che emerge dalla lettura dei saggi (firmati tra gli altri da Pascal Bonitzer, Jean Douchet, Serge Daney e Jean-Louis Comolli), delle interviste e dei testi autografi contenuti nel libro è l’importanza della collaborazione con Claude Melki, un attore non professionista scoperto per caso durante la lavorazione della sua opera d’esordio, Pourvu q’on ait l’ivresse (1957-58), collaborazione che raggiunge il suo culmine nelle due grandi commedie "populiste" L’amour c’est gai, l’amour c’est triste (1968) e L’Acrobate (1975).Il personaggio da lui interpretato, burlesco e malinconico alla maniera di Buster Keaton, è uno degli strumenti attraverso cui Pollet esprime il suo credo estetico profondo, quel "partito preso delle cose" che deriva da Ponge, l’intellettuale omaggiato con Dieu sait quoi (1992-93). Massimo Quaglia
scheda di Quaglia, M. L'Indice del 1999, n. 04
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