Il libro di Enrico Testa gioca fin dal titolo sul paradosso di una lingua nascosta e comune, l'italiano parlato e (poco) scritto da chi l'ha appreso o lo usa per pura necessità di comunicazione, fatto di "parole necessarie a' bisogni giornalieri e comunisssimi della vita" per dirla col Foscolo delle Epoche della lingua italiana, da cui il volume prende le mosse. Un italiano che già Boccaccio poteva immaginare in bocca ai "mercatanti e ciciliani e pisani e genovesi e viniziani" nell'affollato porto di Acri; che i viaggiatori stranieri potevano cogliere come "varietà locale dell'italiano comune" (Luca Serianni) percorrendo la nostra penisola tra Sette e Ottocento; che ancora ritroviamo in capolavori del cinema italiano come La grande guerra di Monicelli. Un italiano distante dalle luci della ribalta della nostra fastosa tradizione letteraria, e per questo ben più centrale nel lungo divenire dei processi di alfabetizzazione e di italianizzazione che costituiscono la storia vera della lingua che parliamo oggi. Un italiano che esisteva prima dell'Unità e del Manzoni; l'abbondante messe di episodi, personaggi e testimonianze scritte dal Cinquecento in avanti, che forma il tessuto del volume, è raccolta, forzando le tradizionali opposizioni fra lingua e dialetto e fra scritto e parlato, sulla base di due soli parametri: l'"assenza di (canonica) letterarietà" e lo "spiccato intento comunicativo". Il libro segue questi varchi e passaggi facendo emergere dai testi "una forte stabilità di forme e di strutture" attraverso cinque tappe, a partire dalle Scritture dei semicolti: una galleria di streghe e briganti, eretici e rivoltosi, artigiani e mezzadri che getta sul tappeto le principali questioni su cui si misureranno i capitoli successivi. Prima, l'aggancio forte con l'oralità, che nell'urgenza di comunicare porta i letterati illustri del terzo capitolo (Ariosto, Castiglione, e Pietro Bembo) a una scrittura epistolare meno ingessata, non esente da tratti locali ma piacevolmente comprensibile anche al lettore odierno in forza di ragioni pragmatiche e testuali che avvicinano questi testi a quelli prodotti dai semicolti: le due serie si allineano per la tendenza alla semplificazione, per il ruolo fondante dei "costrutti della messa in rilievo" e per la pianificazione testuale a maglie larghe. Seconda questione, il carattere "in qualche modo eversivo" che accompagna "l'accostamento del semicolto alla scrittura" (D'Achille) e che il libro affronta da prospettive diverse: nella rassegna sulla stampa popolare del secondo capitolo e in modo articolato nel quarto, dedicato al contributo della chiesa romana alla diffusione di questa varietà comune di italiano. L'azione è esaminata prima dall'alto, nello sforzo di semplificazione della lingua della predicazione e della catechesi e poi dal basso, nel sorgere di una serie di "officine dell'italiano" (confraternite, scuole di dottrina, ambienti monastici) che "ampliano gli strettissimi confini della lingua comune" (ancora Foscolo) avviando alla lettura e anche alla scrittura di un italiano di grado zero, privo di elementi dialettali e semplificato nel lessico e nella sintassi. Con una grossa cesura, che l'autore individua nella "generale riduzione dello spazio del volgare" promossa dal Concilio di Trento: le responsabilità della Controriforma sono per la prima volta affiancate, e in modo documentato e convincente, alle conseguenze del bembismo nell'arretramento dell'italiano di comunicazione. Lo sfondamento spaziale dell'ultimo capitolo, dedicato all'Italiano d'oltremare, riannoda le fila della terza questione discussa nel volume, tratteggiando la fisionomia linguistica di dragomanni e interpreti, impiegati come traduttori di documenti diplomatici e commerciali in un italiano "itinerario" e veicolare tra Marsiglia, Tunisi e Livorno dal Cinque al Settecento: donne, mercanti e artigiani, né letterati né semicolti, dei quali la guida del gentiluomo inglese Edward Lear in viaggio per l'Italia a metà Ottocento affermava: "Quando vogliono farsi capire parlono come cristiani: ma fra loro come diavoli". Margherita Quaglino
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