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Nella prima parte del volume, una raccolta di saggi sulla storia intellettuale italiana, vengono affrontati alcuni grandi temi, quali il sofferto e incompiuto sviluppo della coscienza repubblicana dal Risorgimento a oggi, o l'intreccio tra ricerca storica e impegno politico nei dibattiti storiografici nazionali sul compimento dell'Unità, sulla crisi dell'Italia liberale e l'avvento del fascismo, sulla Resistenza e sulla nascita della repubblica democratica. Nella seconda parte del volume gli stessi temi vengono ripresi e analizzati nelle riflessioni di alcuni dei più illustri uomini di cultura italiani del secolo scorso: Salvemini, Einaudi, Dorso, Bobbio, Galante Garrone, Abbagnano e Fenoglio.
Nonostante siano stati in tal modo assemblati testi di varia provenienza, ciò che ne deriva è un ritratto coerente dell'identità politica italiana e, come recita il sottotitolo del lavoro, della sua "coscienza tormentata". Ci si potrebbe forse richiamare alle osservazioni di Machiavelli sull'Italia dei suoi tempi per rendere il senso complessivo di quelle di Salvadori sull'Italia contemporanea: mentre la nozione di "patria repubblicana" dovrebbe fondarsi sulla coesione civica e sull'equilibrio risultante dalla competizione tra forze contrapposte, la storia italiana è caratterizzata da una forma distruttiva e delegittimante di perenne conflittualità. Molti dei più autorevoli intellettuali italiani degli ultimi due secoli sono stati fagocitati da queste lotte, aderendo a uno degli opposti "estremismi", rivelatisi regolarmente come tentativi fallimentari di costruire la nazione, perché sempre diretti contro "un'altra Italia". Coloro che invece hanno combattuto per l'affermazione del patriottismo repubblicano sono risultati generalmente figure eretiche, dissidenti, isolate, nella migliore delle ipotesi "seminatori" di un patrimonio ideale per le generazioni future.
Ai "seminatori", malpensanti e resistenti, cari ad Alessandro Galante Garrone, sembrano appartenere per molti versi i repubblicani e democratici del Risorgimento, uomini eternamente controcorrente come Gaetano Salvemini e Guido Dorso, forse persino un liberale come Luigi Einaudi (le cui dottrine politiche, infatti, non si appiattirono mai sulla giustificazione del potere degli industriali, bensì furono animate dalla fede nella "bellezza della lotta", foriera di un maggior benessere anche per gli umili) e naturalmente gli azionisti, schiacciati nel dopoguerra dalla nuova contrapposizione tra destra clericale e sinistra filosovietica.
Tra gli stessi seminatori, tuttavia, pare talvolta annidarsi la tentazione, tipicamente italiana, di rintracciare una via d'uscita dalle divisioni nazionali nell'illusione di una "particolarità" dell'Italia e di un suo "primato": fu tale infatti, secondo Salvadori, non solo quello riconosciuto da Gioberti nel papato, o quello dello stato fascista come "terza via" tra socialismo e liberalismo, o ancora l'eurocomunismo proposto da Berlinguer, ma anche, per molti versi, la "terza Roma" idealizzata da Mazzini quale modello dell'unità moderna. E non rientrano altresì in questa tendenza, almeno in parte, alcune formulazioni, pur frutto di sincere preoccupazioni democratiche, di una "terza via" liberalsocialista o socialista-liberale?
Giovanni Borgognone
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