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Per me quest'opera non è datata, anzi attualissima, un romanzo si divertente ma al contempo profondissimo, un'analisi impietosa sulla società umana e sul concetto di Potere; cambiano le forme con il passare dei secoli, ma la sostanza, le dinamiche umane sono sempre quelle...
Un testo irriverente!
Non è stato facile attibuire un giudizio al libro ma alla fine ho voluto essere buono....In effetti, il libro è pieno di riferimenti a tematiche sue contemporanee o comunque molto sentite al tempo della scrittura: l'affaire Dreyfuss, gli intrighi della terza repubblica francese, il colonialismo, il nazionalismo con le relative guerre tipico di inizio secolo. Tutto ciò lo rende un po' datato e come dire...stantio...Ma alcuni temi fanno rinascere l'attenzione e lo rendono estremamente attuale: il ruolo ormai minimo della letteratura e dell'arte in genere nel sollecitare la coscienza dell'Uomo; lo Stato con le sue istituzioni ridotte a copertura di interessi egoistici di determinate classi sociali; il denaro come unico valore di riferimento della Società; la religione ridotta a scaramanzia, intrigo politico; l'avvenire visto come apogeo di tutti questi elementi descritti con tono decisamente disincantato e severo. Il romanzo pertanto appare vivace, divertente e gradevole all'inizio, lento-lentino nella parte centrale e malinconicamente efficace nella parte finale.
Recensioni
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Quando Anatole France morì, nel 1924, i surrealisti ne salutarono la dipartita con un pamphletgraziosamente intitolato Un cadavere. Agli occhi di una generazione che voleva cambiare il mondo, oltre che la letteratura, France rappresentava una tradizione umanistica sclerotizzata che andava seppellita per sempre. Ottant'anni e molte catastrofi dopo (da France puntualmente previste) il cadavere rivela un'imprevista vitalità che si può verificare rileggendo per l'appunto l'Isola dei pinguini.
Pubblicato nel 1908, è uno dei suoi ultimi romanzi, segnato da un pessimismo accorato ma lucidissimo. Ciononostante, l'esordio è molto divertente, giocato sulla parodia delle Vite dei santi che France ben conosceva e amava. Vi si narra dunque della santa impresa di san Maël, monaco evangelizzatore molto miope che navigando in una tinozza di granito (le vie del Signore sono infinite) giunge al polo. Sbarcato, s'imbatte in una folla di ometti assai compunti e li battezza. Scompiglio in paradiso: Dio convoca i teologi che, dopo una strampalata discussione, concludono che non resta che trasformare i pinguini in umani, anche se ciò significherà la loro dannazione. France crea così un burlesco mito delle origini in cui sotto la giocosa apparenza si rivela una sostanza amara: l'essere umano è un animale innalzato per errore alla trascendenza e all'etica, e perciò la sua storia sarà interamente dominata dall'assurdo. Certo, si continua a sorridere leggendo dell'evoluzione di una pinguinità che passa attraverso l'istituzione della proprietà privata ("'Il tuo campo è mio!' E picchiò la clava sulla testa del piccolo pinguino che cadde morto sulla terra che aveva coltivato") e di culti basati sull'impostura e sull'ignoranza come quello, esilarante, della vergine Orberosa, in cui si manifesta il miglior France anticlericale e volterriano.
La sua scrittura è basata su un raffinato gioco intertestuale: l'ironia affettuosa con cui si serve delle fonti, siano esse la Leggenda aurea o il pensiero di Rousseau, non le volge in derisione, ma crea un effetto di doppia prospettiva, in cui la passione per la letteratura è venata dal disincanto sulla sua reale efficacia nella storia umana. Zola e lo stesso France, che si autoritrae in uno dei personaggi del romanzo, appaiono come figure grottesche, svillaneggiate da folle di energumeni che preferiscono la violenza, verbale e anche fisica, alle argomentazioni razionali. Nei tempi moderni in effetti la storia dei pinguini diventa sempre più chiaramente una storia di Francia: vi sono messe in scena le mene del partito boulangista che miravano a sovvertire la Terza Repubblica, e soprattutto l'Affaire Dreyfus, in cui France fu appunto con Zola uno dei più autorevoli sostenitori dell'innocenza del capitano ebreo. I contenuti di questi capitoli, seppur impiantati sulla cronaca politica anche spicciola di quegli anni, sviluppano una parabola autodistruttiva di portata generale che si legge, oggi ancor più di allora, con sconforto misto ad ammirazione. Si ride ancora ammirando la perizia con cui lo scrittore svela certi meccanismi universalmente validi (in un batter d'occhio i compagni socialisti si dividono in quattro posizioni differenti sull'Affaire) poi prevale l'amarezza della conclusione, che noi sappiamo puntualmente verificata: "La guerra divenne universale e il mondo intero annegò in un mare di sangue". Infine si profila l'angoscia di una conclusione aperta sui tempi futuri in cui una città irta di grattacieli è continuamente devastata da attentati terroristici, fino a che "una palma fantasma alta tre chilometri fu vista alzarsi dal gigantesco palazzo dei telegrafi". Catastrofe che innesca un nuovo inizio, in cui la storia ripeterà ciclicamente lo stesso accumulo insensato di violenze.
Nel corso della sua carriera di scrittore, France aveva scritto molte opere storiche (ne è appena uscita una presso Sellerio, Il castello di Vaux-le-Vicomte, che ricostruisce attraverso i documenti la vita del sovrintendente alle finanze Nicolas Foucquet, costruttore della lussuosa residenza che ispirò Versailles). Ma ora non credeva più nella storiografia e negli storici. A differenza di Johannes Talpa, che compone imperterrito le Gesta Pinguinorum chiuso in una cella rimasta in bilico sul nulla, perché i barbari hanno distrutto il convento, France ha ben visto i rischi di una civiltà basata unicamente sul denaro. La sua inascoltata chiaroveggenza almeno ci conforta sul valore della letteratura, poiché non ha perso nulla della sua attualità: "Il grande popolo pinguino non aveva più tradizioni né cultura né arte. I progressi della sua civiltà si manifestavano nell'industria bellica, in speculazioni infami, nel lusso smaccato. La sua capitale aveva un carattere cosmopolita e finanziario; il brutto vi regnava in modo sconfinato e regolare. Il paese era all'apogeo".
Patrizia Oppici
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