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Anno edizione: 2014
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Nel corso della storia del XX secolo la Shoah costituisce sicuramente un evento unico e per i crimini efferati perpetrati dal regime nazista nei confronti di milioni di ebrei e la condanna della storiografia è unanime. Dall’immediato dopoguerra però si è sviluppato un’inizialmente trascurabile filone di ricercatori che ha messo in dubbio l’esistenza dell’Olocausto e delle camere a gas. Partendo dallo scrittore neofascista Bardèche fino ai libri dell’internato nei campi di sterminio Rassinier, che forse è stato colpito dalla «sindrome di Stoccolma», come nota giustamente l’Autrice, si è tentato di ridimensionare e negare la Shoah considerandola come un falso storico, frutto della cospirazione del sionismo internazionale. E’ solo però nel 1978 che il negazionismo si presenta alla ribalta del dibattito giornalistico e culturale con la pubblicazione da parte di importanti quotidiani francesi delle lettere di Robert Faurisson, il più pervicace sostenitore delle tesi negazioniste, scomparso nel 2018. Ben presto, tra gli anni Ottanta e Novanta, questa corrente pseudostorica e che tenta di accreditarsi come scientifica, ottiene un diffusione non solo in Europa e in Italia con le ricerche di Carlo Mattogno, ma anche negli Stati Uniti, dove viene fondato l’Institute of Historical Review e pubblicate riviste e convegni a cui partecipano studiosi da tutto il mondo. E’ interessante notare che i testi negazionisti si diffondono anche tra le frange più estremiste dell’Islam afroamericano e anche tra i paesi arabi nemici di Israele, in quanto si ritiene che il sionismo sia di ostacolo alla causa palestinese. Il saggio di Pisanty, che non è una docente accademica di storia, ma una semiologa, mette in evidenza la logica del negazionismo: le tesi che esso sostiene sono incompatibili con la veridicità delle testimonianze di chi ha vissuto quell’orrore, sia delle numerose vittime che si sono salvate dalla morte, che di alcuni carnefici come Gerstein e Höss, direttore di Auschwitz.
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