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Le ipertensioni endocrine, come le altre varieta’ di ipertensione, costituiscono il principale fattore di rischio di morbilita’ e mortalita’ da insufficienza cardiaca, renale, cerebro-vascolare; sono ipertensioni resistenti alla terapia tradizionale e alcune suscettibili di evoluzione accelerata/maligna. Una diagnosi precoce e la correzione della lesione sottostante consentono in genere di ottenere la normalizzazione pressoria. Le ipertensioni endocrine sono modelli spontanei in cui l’ipersecrezione ormonale produce un aumento pressorio stabile influenzando con modalita’ tempo dipendente il volume del liquido extracellulare, la volemia e la reattivita’ del muscolo liscio arteriolare. L’interesse in questo campo si e’ esteso agli autacoidi (ormoni locali) vasodilatatori e natriuretici che, in condizioni fisiologiche, operano come controregolatori dei sistemi pressori a vari livelli di integrazione, dagli organi bersaglio (muscolo liscio vasale, reni) al sistema nervoso centrale. Un deficit primario di questi autacoidi, ad esempio di ossido di azoto, e’ in grado di produrre ipertensione nell’animale di laboratorio. Di recente, studi di genetica hanno dimostrato l’esistenza di forme congenite di ipertensione; in particolare sono state identificate mutazioni che producono il fenotipo clinico dell’aldosteronismo autonomo poiche’ alternano la specificita’ dei ricettori epiteliali al ligando fisiologico ovvero attivano costitutivamente quei canali sodici delle cellule tubulari renali che normalmente l’aldosterone stimola per produrre l’aumento dei riassorbimento del sale (as esempio, la sindrome di Liddle). La proiezione delle recenti acquisizioni delle scienze di base alla clinica, laddove possibile, e’ lo scopo primario del quaderno.
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