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Chi è nato intorno agli anni 50 si riconoscerà in questi nove racconti della scrittrice bergamasca Giusi Quarenghi:cioé si riconoscerà nei dettagli comuni di una storia familiare e paesana,ma anche civile e collettiva, tratteggiata dall'autrice con delicatezza e nostalgia,con ironia e lucidità. Originaria della Val Taleggio, nata in una famiglia che gestiva una trattoria("la cucina dove si stava tutti, noi e anche i clienti"),con un grosso padre "sublime maestro del farniente ("una vita intensa, pur senza una goccia di sudore", appassionato giocatore di carte e di bocce,a suo modo filosofo e osservatore dei costumi contadini) e una madre che invece lavorava per tre (commoventi e ricche di interesse le pagine dedicate alla preparazione del bucato), Giusi Quarenghi non descrive la sua infanzia con un retorico amarcord. Semplicemente narra di un mondo in cui i tempi erano scanditi dal suono delle campane, dall'avvicendarsi dei giorni di festa, dalle cerimonie religiose e dalla cura degli animali, che vivevano allora in simbiosi con gli esseri umani. Ma di questo mondo racconta anche le ingiustizie, le ottusità e le superstizioni, prima fra tutte quella che riguardava la scarsa considerazione in cui veniva tenuto il sesso femminile. Una realtà condivisa da parenti e vicini, amici e villeggianti, e in cui la corsa al denaro e al successo non assorbiva i pensieri e le ambizioni di tutti come succede oggi. La narrazione induce a un sorriso intenerito soprattutto quando si sofferma sui particolari di un'educazione e di tradizioni in quell'epoca condivisi un po' da ogni famiglia: la raccomandazione rivolta alle bambine di stare "composte", sedute con le ginocchia "unite e coperte";la vestizione per la Messa grande ("calzette bianche e traforate e scarpe bianche con le fibbie");i titoli dei temi assegnati dalle maestre;gli elastici "grogren"; le visite ai morti;le cacche delle mucche per strada.E la natura,la gente,la storia che avanza e cambia abitudini e coscienze...
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