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Breve, scorrevole, quel tanto modaiolo e autocompiaciuto che basta: l'ombra di Sophie Calle, un tocco di Virginia Woolf con la signora Dalloway, rose, Parigi fredda e grigia, vino d'annata, vestiti a pois. Si può vivere senza leggerlo...
Recensioni
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Senz'altro un romanzo che può diventare di moda, anche in Italia, nonostante la forte adesione a certi vezzi e ossessioni tipiche del genere dell'autofiction che ormai, anche in Francia, dove è nato, pare abbia fatto il suo tempo. Ma il parigino Grégoire Bouiller, nato nel 1960 e passato attraverso lavori svariati e ora approdato al giornalismo, dopo l'esordio, che presto sarà tradotto, Rapport sur moi, ha saputo modulare, con una scrittura che è più debitrice al monologo interiore che al freddo determinismo di certe forme estreme di autobiografismo, una piccola storia di abbandono. Il giorno della morte di Michel Leiris (e qui naturalmente l'autore si perde in mille, inutili giochi di possibili coincidenze), un freddo pomeriggio di fine settembre, la voce che racconta riceve una telefonata che viene a rompere l'intorpidimento da sonno terapeutico nel quale era sprofondata. Si tratta della donna amata che lo aveva lasciato, cinque anni prima, senza alcuna spiegazione. Da allora l'uomo sembra non essersi più risollevato, ma anzi, la ricerca della causa di quella sparizione è diventata il centro della sua vita. La donna lo invita a un party molto glamour organizzato per il compleanno di Sophie Calle (l'artista francese nota per i suoi lavori sulle intimità rubate a persone sconosciute), dove lui dovrà comparire come "invitato misterioso", sconosciuto a tutti i presenti. Da questo momento in poi, la voce non trova pace. Quella minima traccia di serenità conquistata con fatica svanisce e il poveretto non riesce a cessare d'immaginare che cosa succederà, che cosa lei finalmente gli dirà, come gli apparirà e come lui riuscirà a districarsi dalle emozioni. "Dire che avevo paura era un eufemismo. Man mano che si avvicinava il giorno e l'ora di presentarmi a quella festa e anche semplicemente di presentarmi, dicevo tra me e me sardonico, mi sembrava di correre inutilmente incontro alla mia perdizione e mi sentivo mancare le forze e la determinazione venirmi meno e la sicurezza di essere sul punto di svelare la figura dell'arazzo dissolversi nell'incertezza". Il protagonista, infatti, è preda di un vero e proprio travisamento tra realtà e letteratura (non a caso compare l'Henry James della Figura nel tappeto), dove è la letteratura a offrire la chiave, a essere un vero grimaldello per forzare il senso della realtà. L'uso della citazione è molto pertinente e finisce per provocare la risata, come quando, in un momento liberatorio cui subito segue un fosco ripensamento, il narratore sbotta esclamando di essersi conquistato "il diritto di citare Hölderlin". Molto divertenti sono poi le fasiche portano l'innamorato infelice all'agognato incontro. Con indosso il solito maglioncino dal collo alto, diventato una sorta di divisa, di segno del lutto dopo l'abbandono, solo nel momento di andarsene, e grazie a una frase tratta da Mrs Dalloway pronunciata come per distrazione dalla bellissima donna, gli sarà rivelato il segreto. Naturalmente l'organizzazione della festa, la triangolazione amorosa, la felicità che si trova in un passato sempre rimpianto e l'ineluttabilità della ragion pratica, quella che ci porta a fare le scelte più convenienti, sono i temi che da Woolf Bouillier trae per costruire questo breve romanzo un po' didattico e un po' filosofico, dove la morale finale è che, in fondo, nulla vien per nuocere. "Era dimenticato. Era dunque possibile? Non riuscivo a crederci eppure non provavo più alcuna amarezza, in un lampo rancore e disperazione erano scomparsi o piuttosto trasmutati e trasformati in una sorta di gratitudine e tenerezza e persino ammirazione per quanto aveva fatto, sì, adesso sapevo e comprendevo in quale conto lei avesse tenuto l'esistenza e come io avessi potuto farne le spese". Camilla Valletti
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