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Quando vidi “2001 Odissea nello spazio”, il film di Kubrik, rimasi fortemente impressionato dalla capacità del regista inglese di narrarci la genesi dell’umanità fino al suo compimento finale. Analogo stupore ho ritratto dalla lettura di Invincibili, di Jolanda Catalano, un vero e proprio poemetto sull’evoluzione della specie, attuata con continue dilatazioni temporali che colgono gli aspetti essenziali dello sviluppo dell’essere umano. Dalla nascita della vita alla conoscenza prima animalesca dell’amore, poi alla sua sublimazione, è un percorrere poeticamente e con estrema capacità di sintesi la storia dell’uomo, di questo essere dapprima inconsapevole di esistere e che poi prende possesso della sua realtà oggettiva in una visione soggettiva che gli fa credere di essere l’unico, imponente, importante, sovrano assoluto del mondo. La scoperta, o meglio le scoperte, in un essere che crede di essere invincibile della sua estrema vulnerabilità, non solo ai fattori esterni, ma alla sua dimensione intima, a quella sfera psichica che tende a esaltarlo, ma anche a deprimerlo, sono versi di accorata impotenza, la constatazione della nullità del suo smisurato orgoglio Questa immagine riduttiva della propria capacità conduce l’uomo alla ricerca di chimere, a sprofondare nei sogni che esulano la realtà, in un viaggio, novello Ulisse, che non porta da nessuna parte se non a un malinconico ritorno a se stessi, con il rimpianto di quanto si è perso del poco che si aveva e che pur invece è tanto. Ciò che si è perso nel tempo non ci verrà restituito dal tempo, ciò che credevamo superbamente di essere sarà il motivo della nostra rassegnata sconfitta. Invincibili non eravamo, né mai lo saremo, e anche se il volo poetico è pura illusione, un separarsi dalla realtà per trascorrere inconsapevolmente dei giorni forse perduti, è l’unico che può dare un senso compiuto alla vita. La lettura è vivamente raccomandata.
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